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mercoledì 31 dicembre 2014

Grazie!

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Il segreto dei diciotto scheletri giganti del Winsconsin

Ci sono scoperte, che per motivi non del tutto chiari, vengono archiviate nel dimenticatoio del sapere umano. Eppure, si tratta di ritrovamenti che potrebbero far luce sul passato remoto dell'umanità, ancora così avvolto nella nebbia e con non poche contraddizioni cronologiche.

mummia gigante Smithsonian
Abbiamo già parlato dei giganti in diversi precedenti articoli, ma la storia che vi raccontiamo sembra aggiungere un elemento importante alla teoria di coloro che credono che, in un tempo remoto, una razza di uomini giganti abbia abitato il pianeta Terra. E’ la storia dei diciotto scheletri giganti del Winsconsin.
Si tratta di una storia curiosa avvenuta circa un secolo fa, una vicenda che da una parte confermerebbe l’esistenza dei giganti e che, dall’altra, corroderebbe la sensazione di molti, secondo la quale esisterebbe un’archeologia proibita nella quale archiviare scoperte scomode che potrebbero svelare all’umanità la vera storia della sua evoluzione.
Nel maggio del 1912, un team di archeologi del Beloit College, in uno scavo realizzato presso il lago Delavan, nel Winsconsin, portò alla luce oltre duecento tumuli con effigie che furono considerate come esempio classico della cultura Woodland, una cultura preistorica americana che si crede risalga al primo millennio a.C.
Ma ciò che stupì i ricercatori fu il ritrovamento di diciotto scheletri dalle dimensioni enormi e con i crani allungati, scoperta che non si adattava affatto alle nozioni classiche contenute nei libri di testo. Gli scheletri erano veramente enormi e, benchè avessero fattezze umane, non potevano appartenere a esseri umani normali.
La notizia ebbe una grande eco e fece molto scalpore, tanto che il New York Times riportò la notizia tra le sue pagine. Forse, a quei tempi, c’era più libertà e meno paura rispetto alle scoperte che potevano cambiare le consolidate credenze scientifiche fondate solo su teorie. Così scrive l’articolista del New York Times nell’articolo pubblicato il 4 maggio 1912 [Vedi articolo originale]:
La scoperta di alcuni scheletri umani durante lo scavo di una collina presso il Lago Delevan indica che una razza finora sconosciuta di uomini una volta abitava il Wisconsin Meridionale. […]. Le teste, presumibilmente di uomini di sesso maschile, sono molto più grandi di quelle degli americani di oggi.
Il cranio sembra tendere all’indietro immediatamente sopra le orbite degli occhi e le ossa nasali sporgono molto al di sopra degli zigomi. Le mascelle risultano essere lunghe e appuntite […].

La descrizione dei crani fornita dal New York Times, ricorda molto la forma di quelli appartenenti agli scheletri scoperti recentemente in un’antica sepoltura in Messico [Sepoltura aliena di massa?], con la differenza che qui abbiamo a che fare con individui alti più di tre metri. Chi erano costoro, e perchè no vi è traccia nella cronologia ufficiale che ci hanno insegnato a scuola?
Si tratta di umani giganti vissuti sul nostro pianeta, e comunque appartenenti alla razza umana? Potrebbe trattarsi di un antico insediamento di Antichi Umani, sopravvissuti alla tragedia di Atlantide? Oppure, si tratta di esseri provenienti da latri mondi, scoperta che corroderebbe la Teoria degli Antichi Astronauti? Difficile a dirsi.

150 anni di scoperte

Per quanto incredibile, gli scheletri dei giganti del Lago Delevan non furono una novità nel panorama archeologico americano. Scavando nei trafiletti dei giornali locali, risulta che il ritrovamento del Winsconsin è solo una delle decine e decine di scoperte simili riportate dai giornali locali. La prima notizia di archivio risale addirittura al 1856, riportata in un articolo datato 21 novembre dello stesso New York Times [Vedi articolo originale]:
Un paio di giorni fa, alcuni operai hanno scoperto nel sottosuolo della vigna dello sceriffo Wickan, a East Wheeling, Ohio, uno scheletro umano. Alquanto rovinato, è stato difficile identificarlo dalla posizione delle ossa, che sembrano non avere la lunghezza del normale corpo umano nella sua posizione originale. Ciò che ha impressionato lo sceriffo e il lavoratori sono state le dimensioni dello scheletro, pari a circa undici feet (tre metri e trenta)! La sua mascella e i denti sono grandi quasi quanto quelle di un cavallo.

12 anni dopo, nel 1868, nel giorno di Natale, è sempre il NYT a dare un’altra notizia di giganti [Vedi articolo originale]. Alcuni operai della compagnia Sank Rapid Water Power erano impegnati negli scavi per la costruzione di una diga per la creazione di energia idroelettrica lungo il fiume Mississippi. Durante i lavori, gli operai hanno rinvenuto i resti uno scheletro umano di dimensioni gigantesche incastonati nella roccia di granito:
La tomba era lunga circa sei metri, larga un metro e venti e profonda quasi un metro. I resti del gigantesco uomo sono completamente pietrificati. La testa enorme misura una circonferenza di 78 centimetri, ma con una fronte molto bassa e molto inclinata all’indietro. La statura complessiva del misterioso individuo è pari a circa tre metri e quaranta centimetri”.


L’8 settembre del 1871, il NYT riporta la notizia di altri scheletri giganti rinvenuti durante dei lavori di scavo a Petersburg, in Virginia [Vedi articolo originale]:
Gli operai impegnati nei lavori della ferrovia, si sono imbattuti in una sepoltura contenente gli scheletri di quelli che si pensano essere nativi americani di un’epoca remota e di una perduta e dimenticata razza umana. I corpi esaminati presentano una formazione molto strana e impressionante. […]. Il femore è molto più lungo di quello degli individui umani normali, tanto da far ipotizzare una statura di quasi tre metri”.


Il 10 agosto 1880, il NYT ribatte un articolo riportato dall’Harrisburg Telegraph, nel quale si riporta lo stralcio di un verbale redatto il 24 maggio 1798 dal giudice Atlee a seguito di una strana scoperta [Vedi articolo originale]:
In compagnia del procuratore capo McKean, del giudice Bryan, del sig. Burd e di altre rispettabili signori, ci siamo recati nella proprietà del sig. Neese, dove ci è stato mostrato il luogo nei pressi della sua abitazione dove diversi anni fa furono rinvenuti due scheletri umani. Gli scheletri misurano circa tre metri e trenta”.


Il 25 maggio 1882, il NYT riporta la notizia di un ritrovamento presso St. Paul, nel Minnesota [Vedi articolo originale]:
Uno scheletro di dimensioni eroiche e dalla singolare forma è stato scoperto durante i lavori di scavo di una collina presso la Red River Valley. [….]. Lo scheletro in questione era in perfetto stato di conservazione. L’uomo è stato identificato come “gigante”. Un’investigazione dello scavo e del suo contenuto è stato avviato dalla Historical Society”.


Il 20 dicembre 1897, il NYT riporta la prima scoperta di giganti avvenuta nel Winsconsin, nei pressi di Maple Creek. Vennero scoperte tre colline funerarie, una delle quali fu aperta rivelando il suo misterioso contenuto: lo scheletro di un uomo gigantesco. La statura dell’essere era quasi di tre metri, e il suo stato di conservazione pressoché perfetto [Vedi articolo originale].


L’11 febbraio 1902, viene riportata la notizia di una spedizione archeologica presso un sito del New Mexico, dove furono trovati alcuni scheletri umani giganteschi [Vedi articolo originale]:
Dopo la scoperta di resti di una razza di giganti a Guadalupe, New Mexico, gli archeologi si preparano per una spedizione nella regione […]. Luciana Quintana, la proprietaria del ranch nel quale sono collocate le antiche ossa, scoprì due pietre con delle curiose iscrizioni. Scavando al di sotto di esse, furono scoperte le ossa di scheletri appartenenti ad individui alti non meno di tre metri e sessanta […].
Quintana, la quale ha poi scoperto molti altri siti simili, crede che gli scheletri sepolti di una perduta razza di giganti siamo migliaia. La supposizione si basa su una tradizione cominciata con le prime invasioni spagnole, secondo la quale un’antica razza di giganti un tempo remoto abitava la regione oggi nota come New Mexico orientale. Le leggende degli indiani d’America raccontano la stessa tradizione”.

Ma il New York Times non è l’unico giornale ad occuparsi di giganti. Anche alcuni giornali di inizio secolo riportano notizie di giganti, come il Sun del 1893, New Age Magazine del 1913, Popular Scienze del 1932, il San Antonio Express del 1940.

James Vieira, un ricercatore indipendente, per quasi vent’anni, e prima dell’avvento di internet, ha raccolto migliaia di riferimenti giornalistici sui ritrovamenti dei giganti, scavando negli archivi del New York Times, dello Smithsonian Ethnology Reports, dell’American Antiquarian, e della Scientific American, scoprendo che buona parte di queste scoperte è praticamente nascosta al grande pubblico.
Tra le scoperte notevoli di Vieira, vi è una foto scovata negli archivi dello Smithsonian Ethnology Reports, scattata durante una lezione del prof. McGee (nella foto a sinistra), nel quale si vede uno scheletro gigante dalla statura di circa due metri e ottanta, poi venduto alla Smithsonian Institution per la cifra di 500$.
Lo scheletro apparterebbe alla cosiddetta cultura dei Mounds Builders (letteralmente costruttori di tumuli), un’antica popolazione del Nord America vissuta circa 5 mila anni fa, in un periodo precedente alla storia dell’Antico Egitto e di tutte le sue dinastie.
Secondo i teorici della cospirazione, la Smithsonian Institution acquisto lo scheletro con la volontà di sottrarlo alla conoscenza dell’opinione pubblica. Ma perchè? Perchè ci dovrebbe essere un gigantesco cover-up di tutte queste scoperte? E perchè in nessun museo del mondo sono mai stati esposti questu entusiasmanti, quanto enigmatici reperti?
Secondo Vieira, la motivazione sarebbe molto semplici: il bisogno di conservare valida la Teoria dell’Evoluzione di Darwin, la quale spiega molto bene il normale percorso evolutivo di tutti gli esseri viventi, umani compresi, da forme semplici a forme più complesse.
Leggi anche:
I giganti hanno camminato sul pianeta Terra: ecco le prove!
Chi sono i Nephilim della Bibbia: figli di Dio, giganti o qualcosa di diverso?
Il problema è che questi scheletri, per quanto riguarda l’essere umano, sembrerebbero, invece, mostrare un involuzione, in quanto la complessità dei giganteschi fossili ritrovati è particolarmente evidente. Come collocare questi umani giganti nella scala evolutiva dell’uomo? Ma può bastare questa motivazione a eliminare dei reperti che potrebbero gettare luce sul passato remoto dell’uomo?
Secondo i teorici degli Antichi Umani, gli abitanti della mitica Atlantide erano i famosi giganti citati anche dalla Bibbia. Alcuni sopravvissuti alla distruzione dell’antica civiltà atlantidea, avrebbero poi posto le basi per la creazione della nostra specie e della nostra civiltà. Forse è questa la storia che si vuole tenere nascosta? E perchè? Perchè l’evento catastrofico che ha distrutto Atlantide potrebbe distruggere, prima o poi, anche noi?
In ultima analisi, c’è chi ipotizza che gli scheletri giganti non appartengano alla specie umana ma siano i corpi di Antichi Astronauti che un tempo hanno abitato il nostro pianeta. In questo senso, l’insabbiamento sarebbe da ricondurre alla strategia più vasta che vuole nascondere l’esistenza degli extraterrestri all’umanità. Ad ogni modo, quello dei giganti, come quello di Atlantide, per un motivo o per un altro, rimane argomento tabù per la comunità scientifica.

Capodanno: dopo Natale un giorno detox in attesa del cenone

green detox capodanno
A Natale avete esagerato a tavola? E' il momento giusto per un giorno detox in attesa del cenone di Capodanno. Gli esperti consigliano di rimettere ordine nella nostra alimentazione sospendendo l'assunzione degli alimenti di cui abbiamo abusato e recuperando quelli che abbiamo messo da parte.

Se a Natale la frutta e la verdura fresca sono rimaste in un angolo, è arrivato il momento di rispolverarle per alleggerire la dieta. In particolare, una giornata detox è utile per riequilibrare il pancreas, che negli scorsi giorni, se siete stati golosi, ha prodotto molta insulina e ha innescato il circolo vizioso della dipendenza da cibo.
Lo sottolinea Sara Farnetti, specialista di medicina interna ed esperta di malattie del metabolismo e nutrizione funzionale.
"Dopo Natale dobbiamo riequilibrare i nostri ormoni. Riportare a zero il metabolismo, recuperando quello nativo per poi ripartire. Questo non significa digiunare"ha precisato Farnetti"ma disintossicarsi scegliendo gli alimenti giusti e cioè quelli che abbiamo trascurato. L'organismo è veloce ed è sufficiente un giorno solo, per poi reintrodurre tutto piano piano, con buon senso e nelle giuste quantità".
Dunque il consiglio è di dedicare una giornata ad un'alimentazione leggera e salutare, in modo da aiutare l'organismo a depurarsi e a ripartire. Come possiamo fare per aiutare il nostro organismo a sentirsi meglio?
"Cercando di sospendere per un paio di pasti gli zuccheri di pane, pasta e riso, le proteine e i grassi non buoni che abbiamo assunto in quantità" – ha spiegato l'esperta – "e reintegrando invece i cibi che sono mancati: soprattutto le verdure crude, perché ci aiuteranno anche a dare un senso di sazietà utile a tenere a bada la fame che continua a farsi sentire nonostante le dosi di cibo introdotte. Abbiamo mangiato tanto, eppure non riusciamo a smettere".
Le verdure crude, dunque, potranno essere l'alimento salutare verso cui orientarvi per una giornata detox, magari da ripetere dopo il cenone di Capodanno, per iniziare al meglio il 2015. La specialista non consiglia di sospendere l'introduzione di cibo ma di recuperare l'equilibrio perduto con un giorno di "fasting green", una giornata di "digiuno verde" in cui stare leggeri e mangiare solo cibi salutari come verdure crude.
A suo parere, infatti, in questi giorni i meccanismi che regolano la fame sono andati in tilt. Il digiuno verde aiuta a guarire il pancreas "impazzito" che ha iperprodotto insulina e a recuperare l'equilibrio perduto, tenendo conto che l'efficacia di una giornata di fasting green è stata provata scientificamente. E, del resto, forse è proprio il nostro corpo a chiederci di rallentare e di depurarci dopo un weekend lungo di pranzi e cene molto più ricchi del solito.
Marta Albè

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:)

 

martedì 30 dicembre 2014

Del tutto innocui?!?

 

The Kitty Cat Dance


Aerosmith - Road Runner


Il nemico esterno non esiste, ma anche la Russia prepara la sua fanteria spaziale

“Gli UFO sono il prodotto di intelligenze sconosciute in possesso di motivazioni e poteri sconosciuti”, definizione che andrebbe tenuta a mente dai vertici di quelle nazioni che si dicono “grandi potenze”, dalle quali miasmi di espansionismo extraplanetario appestano l’aria già di per sé molto malsana che respiriamo.
Non siamo sciocchi. Non crediamo all’esplorazione dello Spazio a fin di bene e con la benedizione della Chiesa che si predispone ad evangelizzare altri “corpi celesti” – termine certamente gradito agli esegeti – con i propri coraggiosi missionari. Farebbe qualche differenza, rispetto allo sterminio dei nativi del Sud e Centro America per mano dei conquistadores benedetti dai papi di Roma?
Tutta la storia dell’esplorazione spaziale terrestre, che abbia visto protagonisti gli USA, l’ex Unione Sovietica attuale Russia, la Cina, o persino il Giappone, nasconde la dislocazione di avamposti militari su altri pianeti per dare agio alle mire colonialiste anche extra sistema solare, ma pur sempre alla portata di propellenti che inneschino catastrofiche conseguenze.
Catastrofiche, ma le cui lezioni non sono servite. Solo per ricordarne una assai sofferta, quella del Challenger, avvenuta in un periodo dominato da una strana, irreale euforia reaganiana, che ebbe solo l’effetto di frenare per un paio di anni un progetto di militarizzazione dello spazio portato avanti con gli shuttle che, al di là degli alibi di alcuni equipaggi misti, di fatto erano “fregate spaziali”. Le loro missioni, sempre ammantate da una qualche finalità scientifica, a cosa hanno portato? E chi lo sa? Magari, ce lo potrebbero spiegare proprio i signori dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) che con la NASA vanno a braccetto, o meglio, ne sono sussidiari. E chi lo sa, soprattutto, se è già operativa “Solar Warden”, la flotta spaziale americana che l’hacker inglese Gary McKinnon individuò anni fa, per poi passare guai seri e scampando all’estradizione e al carcere di massima sicurezza stile Guantanamo per un soffio?
Oggi servirebbe molto agli Americani ricordare che chi li guida ha dalla sua un’antica arroganza, grande miopia e nulla capacità autocritica. Se la politica di Washington si dimostra frettolosa e spesso insensata come storicamente provato, il Cremlino di Putin invece inizia a disporre le proprie linee di difesa al di fuori della Terra. Intanto, sulla Luna.
Le guerre spaziali della Russia

Nell’articolo (“Il Giornale”, 11 Dicembre 2014) su riprodotto, redatto sulla base di informazioni diffuse dall’agenzia Interfax e trapelate da fonti anonime, si fa menzione dei propositi di Mosca di stabilire un avamposto armato sul nostro satellite.
Se ci limitiamo al solo aspetto strategico della questione e premesso che nessuna delle attività extra atmosferiche condotte da nazioni terrestri può essere resa pubblicamente nota in quanto sottoposta a ferrei vincoli ferrei di segretezza legati alla Difesa e alla Sicurezza, viene da chiedersi se quanto appena detto non possa ascriversi ad ipotetiche intenzioni ET nei nostri confronti.
Sulle ragioni delle loro visite ci si interroga sin dal 24 Giugno 1947, dal primo avvistamento ufficiale del pilota civile Kenneth Arnold che descrisse come “Flying Saucers” (piatti volanti) i nove oggetti semi discoidali che aveva visto mentre era in volo sul Monte Rainier, Stato di Washington. Da allora, in assenza di una manifestazione palese da parte di entità ET, si vaga nel mare magnum delle congetture e delle ipotesi, in gran parte inclini alla visione di “alieni ostili”.
Vale ricordare i timori dell’astrofisico Stephen Hawking, il quale nel 2010 ha asserito che un incontro con esseri extraterrestri sarebbe foriero di conseguenze devastanti per un’umanità che da loro dovrebbe tenersi a distanza perché non sappiamo di chi si tratta e non sappiamo cosa passi in quei loro cervelli iper svillupati. Il pensiero di Hawking si basa sull’osservazione del comportamento umano e mette in guardia dalla minaccia di una civiltà più avanzata che, volente o nolente, potrebbe generare danni in caso di contatto con una razza inferiore.
Lungi dal sostenere la realtà degli UFO, la teoria di Hawking si discosta da quelle dell’astronomo e cosmologo Carl Sagan che negli anni Settanta attraverso libri e la serie televisiva “Cosmos”, pur proponendo la possibilità di un universo abitato da miriadi di intelligenze aliene, escludeva che esse fossero capaci di raggiungerci effettuando viaggi interstellari perché le leggi della fisica non lo consentono.Se per Sagan la questione UFO era un enigma astratto e per Hawking un potenziale pericolo, più intrigante è il principio della “non interferenza” del visionario e geniale Gene Roddenberry. Il creatore di Star Trek parlò di una “Prima Direttiva” che impone a qualsiasi civiltà avanzata aliena appartenente ad una ipotetica “Federazione Unita dei Pianeti” di astenersi da contatti con razze meno evolute (come la nostra) di altri pianeti e di non interferire con il loro sviluppo. Solo metafore e fine filosofeggiare? Non proprio, se si considera che la possibilità di un prossimo contatto non è da escludere.
Negli ultimi anni ha avuto una certa eco il parere di Paul Hellyer, ex vice primo ministro nel gabinetto del premier Pierre Trudeau e ministro della Difesa del Canada dal 1963 al 1967. Per Hellyer, oggi 89enne, “alcuni UFO sono reali come gli aerei che volano sopra la nostra testa”. A differenza di Hawking, che ha accusato di fare disinformazione, Hellyer ha sottolineato che le intenzioni malevole degli ET non si sono mai evidenziate e che loro mire di conquistare e distruggere altri pianeti sono risibili congetture. Paul Hellyer non solo è convinto che gli extraterrestri abbiano pacificamente visitato la Terra da sempre, ma anche che l’umanità ha potuto raggiungere grandi traguardi tecnologici grazie alla retro-ingegneria sui reperti alieni recuperati sin dall’incidente UFO di Roswell del 1947. Hellyer ha più volte citato il Colonnello Philip Corso quale fonte attendibile di informazioni correlate agli UFO e a Roswell. Corso, scomparso nel 1998, ha dichiarato sotto giuramento che il Pentagono era a conoscenza dell’esistenza delle  EBE (Entità Biologiche Extraterrestri) e della loro tecnologia finita nelle mani di apparati di intelligence militare dei quali ha fatto parte. Tutto però è stato segretato, secondo una strategia che il fisico nucleare canadese Stanton Friedman ha denominato “Watergate Cosmico” e che altri, come lo storico Richard Dolan, pongono nell’ottica del mantenimento dello “stato di sicurezza nazionale”.
La NASA, finanziata con denaro pubblico e fondi neri anche allo scopo di monitorare lo spazio esterno e individuare eventuali intrusi, dai giorni della Space Defence Initiative (SDI, il programma di “scudo stellare”) di Ronald Reagan alle amministrazioni della famiglia Bush (e di Obama), avrebbe fatto il resto. favorendo l’alibi del nemico esterno, anche la NASA ha consentito a Washington di sfruttare la paura degli alieni, similmente allo spettro del “pericolo rosso” della guerra fredda.
Guerra fredda, guerra atomica? Guerra con armi avveniristiche e sconosciute? Se di ipotetico confronto armato con un aggressore extraterrestre si dovesse trattare, il colonnello Corso disse che esso si sarebbe esplicato in trincea, in combattimenti corpo a corpo. Eventualità per tutti da scongiurare, certamente, tranne che per il Pentagono, il Vaticano e, a questo punto, sembrerebbe anche per il Cremlino.

Maurizio Baiata, 22 Dicembre 2014

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Quattro tipi di stufette da campo

Nel mondo della vita all'aria aperta, a cui ogni prepper guarda sempre con attenzione, si è soliti usare fuochi liberi per creare confort e protezione.
Tra i vari supporti più o meno sofisticati o rudimentali ci sono le stufette da campo. Solitamente fatte in ferro o acciaio con materiali di recupero e rigorosamente autoprodotte, possono variare per dimensioni, peso e trasportabilità ma tutte possono esser classificate in quattro categorie in base al loro funzionamento. Vediamo assieme questi cinque gruppi per apprezzare i pregi di ognuno di essi.

Bracere
Il primo e sicuramente il più semplice, consiste in un contenitore tendenzialmente sviluppato verso l'alto, sopra è completamente aperto e sul perimetro vicino la base presenta tanti piccoli fori di aerazione. Il combustibile viene posto dal foro d'uscita delle fiamme e dei fumi, la brace viene ossigenata dai fori sottostanti. Questo modello è la base su cui si basano quasi tutti gli altri e il principio di funzionamento è quasi sempre lo stesso: un insieme di correnti d'aria calda e fredda che ruotano su se stesse, questo sistema è detto cella convettiva;

Stufa pirolitica
Il secondo è la stufa pirolitica che gia abbiamo conosciuto sul canale youtube di "pronti a tutto", caratterizzata da due camere una dentro l'altra, le due camere sono unite da un anello che chiude il lato superiore della camera esterna. La camera interna è la camera di combustione avente l'apertura superiore per l'alimentazione e l'uscita del fuoco e dei fumi, in prossimità dell'apertura superiore vi sono dei fori che mettono in comunicazione con la camera esterna e sul fondo dei fori d'aerazione per lo scambio d'aria in entrata e gas in uscita, essa è più corta di quella esterna in odo da non toccar terra.
La camera esterna è la camera d'aerazione, essa ha dei fori per l'aria sul bordo inferiore come nel primo tipo, essi si trovano sotto i fori d'aerazione della prima camera in modo da non causare la fuga dei gas. Questo sistema permette di sfruttare i gas combustibile, altrimenti disperso come nel primo tipo, rilasciato dal legno in combustione.

Rocket Stove
Il terzo è la stufa a razzo, anche detta in inglese rocket stove. E' un modello che sfrutta al massimo il principio della cella convettiva creando un tiraggio d'aria tale che le fiamme e i fumi escano dirompenti dal foro superiore con un effetto molto simile a quello dato dalle turbine dei Jet. Come nei casi precedenti l'aerazione viene da dei fori sul perimetro inferiore ma spesso coincide con un unico foro ampio che fa anche da foro di alimentazione.
Una variante di questo modello consiste nel chiudere il foro superiore con un piano di ferro e aggiungere una canna fumaria per far uscire i fumi, in questo modo si evitano i rischi relativo al uso di fiamme libere, si differenzia l'uscita di scappamento dalla fonte termica che è diventata una superficie radiante;

Stufette ad alcool
Il quarto si differenzia da gli altri da molti punti di vista: non si basa sul primo modello e quindi non sfrutta alcuna cella convettiva, non usa nemmeno combustibile solido. Si tratta della stufetta ad alcol: questa è composta da un serbatoio e da dei fiorellini superiori che possono benissimo coincidere con il foro d'alimentazione.
Non brucia l'alcol liquido ma quello che evapora fuori dai forellini creando delle fiamme simili a quelle dei fornelli della cucina di casa. L'evaporazione è influenzata dalla temperatura ambiente quindi potrebbe esser necessario d'inverno scaldare il serbatoio in prossimità dei fori ma una volta innescata la fiamma l'alcol si scalda dalle sue stesse fiamme.
Nell'immagine vediamo una piccola stufetta ad alcol da portare al collo !!
Per motivi di sicurezza è sconsigliato lasciar il combustibile nel serbatoio, specie d'estate e non alimentare il serbatoio durante il funzionamento. Alcuni modelli presentano una valvola di sicurezza che sfiata in caso la caldaia possa andare sotto pressione.

 Articolo diLuca Moon per Prepper.it

"Riflessioni"


se sei veramente felice, il mondo esterno non potrà far altro che riflettere questa felicità


lunedì 29 dicembre 2014

Le Dolomiti

 

Le Donne degli Anunnaki

Questo articolo é un estratto del più completo 'Origine della Dea', disponibile su Scribd. Ho voluto estrarre questa parte perchè particolarmente legata alla teoria di Sitchin e perchè mentre per i reperti archeologici ed etnologici discussi nella prima parte dell' articolo integrale non si hanno certezze, nel caso della civiltà sumera abbiamo centinaia di testionianze che rendono possibile fare un discorso cronologico e intenzionale su come queste civiltà onsiderassero la divinità femminile.
La prima civiltà finora riconosciuta come organizzata, i sumeri, compaiono nel IV millennio con un pantheon e un corpus di dottrine paragonabili a una religione, ma di stampo completamente diverso da quello che i sostenitori del culto della ‘Dea’ dipingono.
Di fatto, mentre questo presunto culto viene proposto come qualcosa di ‘spirituale’, sappiamo ormai che le prime forme di culto erano estremamente materiali e pratiche, e solo dopo si sono evolute verso un percorso più spirituale. Con il IV millennio e l’ avvento dei sumeri abbiamo anche la possibilità di consultare testimonianze scritte, e per la prima volta, oltre alla scrittura veria e propria, anche testimonianze iconografiche che lasciano pochi dubbi, al contrario delle statuette e delle incisioni / pitture di cui abbiamo parlato finora. E, paradossalmente, é da qui che possiamo partire per stabilire come sia nata la figura della ‘Dea’ come nome comune che racchiude diverse figure e i loro attributi. 
La mitologia e l’ iconografia sumera ci parlano di una dea primordiale, chiamata Namma, definita come ‘creatrice dei primi dei’. A lei si deve, secondo il mito sumero del diluvio, la nascita delle prime città. Ma Namma era si una dea primeva, ma solo nei confronti della Terra e non era la prima divinità esistente. Namma infatti era partner di An, il dio del cielo.
Dalla loro unione nasce Ea, il signore delle acque. Altri miti, successivi di migliaia di anni, e risalenti all’ epoca babilonese, ci parlano della ‘Creazione’ ad opera di Tiamat, la‘dea delle acque salate’. Ma Tiamat é consorte di Apsu, che viene chiamato ‘il primevo’. Ancora una volta dunque il ‘primo’ dio non é una divinità femminile ma maschile. In un mito ittita che parla della ‘regalità’, e di come questa discese dal cielo, ci viene raccontato che addirittura prima di Anu (compagno di Namma) esistevano altri dei, tra i quali viene nominato Alalush, del quale Anu era coppiere. 
Insomma prima della ‘prima dea’ di cui abbiamo traccia c’ erano intere generazioni di altre divinità maschili e femminili. Il prototipo della ‘dea madre’, però, non é nè Namma nè Tiamat, ma più probabilmente la dea sumera Ninmah (grande signora), figlia di AN (Anu - cielo) e KI (Antu - terra), la quale é responsabile, su richiesta degli dei lavoratori, della creazione del primo uomo.
Viene aiutata dalle ‘Sud’ o ‘Dee della nascita’, il chè indica che seppur lei viene ricordata come la ‘grande madre’, in realtà vi furono svariate madri. Per intenderci, Ninmah (che i sumeri chiamavano affettuosamente ‘Mami’) é la Hator egizia, rappresentata da una mucca, esattamente come Ninmah in tarda età.
Ninmah era per i babilonesi la prima dea assocciata alla Vergine, attributo che le fu poi rubato da Inanna. Ninmah era una mediatrice nelle faide familiari, una abilissima stratega e pacificatrice, nonchè una curatrice. Oltre ad essere il prototipo della ‘dea madre’ é anche sicuramente il prototipo della ‘dea guaritrice’ e della ‘dea amministratrice’. Perchè allora non guardare proprio a questo pantheon per cercare l’ origine della famosa ‘Dea’? Di fatto, anche iconograficamente, possiamo identificare due fasi ben distinte nell’ arte mesopotamica che rappresentava le dee. Una fase dedicata alle ‘vecchie dee’, cioè quelle di prima generazione, nate dai cieli e da questi discese, e una seconda fase, quella delle ‘dee giovani’ nate sulla Terra.
Questa suddivisione combacia perfettamente con un altro tipo di suddivisione: quella in base alla ‘silouhette’ femminile. Le ‘vecchie dee’ della prima generazione venivano tutte ricordate come ‘matrone’ corpulente, paffutte, di enorme statura. 
Oltre a Ninmah, ricordiamo anche Gula, il cui nome significa ‘grande e grossa’, anche lei rappresentata come corpulenta.
Le ‘giovani dee’ invece, della seconda e terza generazione, nate sulla terra, venivano rappresentate come donne affascinanti, di corporatura più minuta e sinuosa, come si può generalmente vedere osservando le tante rappresentazioni di Inanna, Ninsun, Ereshkigal e Ninkasi.
Abbiamo inoltre, con l’ avvento della seconda e terza generazione di dee, la vera e propria attribuzione di ruoli a queste figure femminili indipendentemente dalla loro relazione con divinità maschili e, allo stesso tempo, si inizia a delineare una ‘promozione’ di divinità femminili come artefici dei destini degli uomini. Ricordiamo che mentre i primi re di Sumer sostenevano di essere ‘del seme reale’ di questo o quel dio, improvvisamente dal periodo accadico iniziamo ad avere re nutriti ‘dal sacro seno’ di questa o quella dea. Le vecchie dee ‘vanno in pensione’ e le nuove avanzano: abbiamo così Inanna che prende il posto della dea Ninmah, tanto che in alcuni templi ella viene raffigurata come dea corpulenta, segno distintivo delle prime dee (Ninmah e Gula), aTtribuendole il ruolo di ‘generatrice’ e ‘madre’ (benchè la mitologia attribuisca a Inanna solo un figlio, Shara) oltre che quello di ‘concubina’ e di ‘amante’ di innumerevoli dei e re.
In questo periodo in cui si ha la ‘specializzazione’ delle ‘giovani dee’ e l’ attribuzione di ruoli e competenze, abbiamo dunque la Ninkasi dea della birra, la Nidaba astrologa, la Nisaba dea della scrittura, la Ereshkigal dea degli inferi e della magia, ma, ancora più importante, abbiamo i primi esempi di ‘semidei’ di origine divina derivante da linea femminile, come Lugalbanda e Gilgamesh, e i primi re ‘eletti’ da dee, come Sargon amante di Inanna.
Abbiamo dunque qui, a mio avviso, svariate indicazioni iconografiche e mitologiche che ci permettono di identificare i prototipi che hanno portato alla nascita del concetto della ‘Dea’, e sta di fatto che le più importanti dee spesso mischiate e rimischiate senza cautela dal movimento di seguaci della ‘Dea’, particolarmente quelli di stampo pagano, e quindi Asherah, Astarte, Diana, Afrodite, Persefone, Athena, Iside, Ishtar, Oshun, e altre, sono nate dalle interpretazioni successive che le civiltà del II e I millennio a.C. hanno dato delle dee mesopotamiche appena viste. Ma questa rivoluzione non riguarda solo le divinità. Riguarda anche gli uomini e le donne mortali. E’ nel 2280 a.C. circa che abbiamo il primo esempio di sacerdotessa a cui viene dato il compito di redigere documenti per gli dei, con Enheduanna, sacerdotessa lunare del dio Sin, che redice il famoso ‘Inno delle case degli dei’, un documento talmente importante che scribi successivi, sia uomini che donne, vi hanno aggiunto del loro mantenendo lo stile originale dettato dalla sacerdotessa. Ed é all’ incirca nel 1800 a.C. che abbiamo il consolidarsi della tradizione sacerdotale femminile di Babilonia, con una suddivisione gerarchica in Naditu, Shagitu, Kulmashitu, Qadishtu e Ubgabtu.
Che conclusione trarre dunque alla luce di queste analisi? Il culto della ‘dea’ é sicuramente esistito, e per lungo tempo é stato importantissimo e testimoniatissimo da centinaia di composizioni letterarie e iconografiche giunteci nel corso di millenni. I tentativi di affossare l’ esistenza di questo culto non possono trovare supporto, poichè se da un lato i più antichi reperti non ci danno indicazioni univoche, i reperti degli ultimi 5000 anni mostrano senza ormbra di dubbio che ledivinità femminili erano ‘elegibili’ e di fatto ‘elette’ a entità venerabili.
Indubbiamente questo culto ha generato realtà localizzate, di carattere prevalentemente regionale, nelle quali si aveva una prevalenza della figura divina femminile (basti pensare alla civiltà di Harappa, nell’ Indo, incentrata per oltre un millennio sulla figura di Ishtar / Inanna e dove fu proprio il consorte di lei, Dumuzi, ad essere ‘subordinato’). Meno certo é che questi culti fossero esclusivamente femminili, e che in tutti i casi la dea adorata in questa o quella regione fosse ‘innalzata’ al ruolo di ‘dea suprema’ al di sopra della sua genealogia maschile. Un caso di questo genere é la Inanna adorata a Babilonia a partire da circa il 1200 a.C., infatti qui la Inanna adorata non é la Inanna sumera, ma una rappresentazione di Sarpanit, moglie del dio nazionale Marduk, esattamente come a Kutha veniva adorato Nergal come rappresentazione di Enlil. Non testimoniato, e quindi non accettabile, é che prima del IV millennio ci siano state realtà societarie incentrate su un culto religioso organizzato di stampo matristico. 
Niente esclude che ci fossero comunità matristiche in termini societari, ma niente supporta l’ idea di un culto divino di questo genere. Come abbiamo visto, il grosso dei casi di riferimenti ipotizzati come a ‘divinità femminili’ prima del IV millennio é estremamente controverso, ambiguo, se non in alcuni casi addirittura fraudolento. A partire dal III millennio poi, dopo un millennio circa nel quale le figure femminili erano si riconosciute, ma subordinate in tutto e per tutto ai corrispettivi maschili, e dunque prive di funzioni e attributi particolari (salvo i due casi esemplari di Gula e Ninmah), si inizia a delineare la attribuzione alle ‘giovani dee’ dei ruoli essenziali per lo sviluppo delle società. A queste dee viene regalata (o concessa) la meritata attenzione e responsabilità, vengono ‘elevate’ a soggetti di culto, rese capaci di influire sulla storia delle popolazioni. Gli antichi dei in generale si allontanano sempre più, Enlil ed Enki si fanno da parte lasciando lo spazio ai figli e nipoti, Ninurta, Nanna e Ishkur, Utu e Inanna da una parte, e Marduk, Ningishzida e Nabu dall’ altra. Dopo circa mezzo millennio, a cavallo del XV secolo a.C. si hanno due avvenimenti importanti: la nascita della civiltà egea, da cui nasce quella greca, che tanto ha dato alla attuale idea della ‘Dea’, e l’ affermazione del Yahwismo.
E in un certo senso la nascita del Yahwismo segna, purtroppo, l’ inizio del declino di questo culto femminile. L’ ebraismo seguito al Yahwismo infatti si tramanda esclusivamente per linea patristica, é un culto maschile, nel quale la donna viene relegata di nuovo al ruolo di ‘serva’. Ciò peggiora con l’ avvento del cristianesimo, e successivamente dell’ Islam, religioni che nei confronti del culto femminile (salvo il caso di Maria) hanno condotto una vera e propria crociata fino a quei tempi oscuri noti come ‘Medio Evo’ in cui addirittura la donna é considerata portatrice di peccato, e il solo ricordo dei tempi in cui le divinità erano anche femminili veniva considerato ‘eresia’.
 

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Ecco i 5 paesi dove trasferirsi costa meno o rende di più

La classifica dei Paesi migliori per espatriare per quanto riguarda costo della vita e possibilità di carriera

Ecco i 5 paesi dove trasferirsi costa meno o rende di più.

Da tempo ormai gli italiani sono tornati ad essere popolo di migranti soprattutto a causa della crisi economica e occupazionale del Paese, ma quali sono le mete dove in  assoluto risulta più conveniente emigrare o almeno rende di più? Secondo l’Expat Index, l’indice dei Paesi migliori per espatriare calcolato in base ad sondaggio tra gli immigrati all’estero, sono cinque: Ecuador, Thailandia, Cina, Norvegia e Olanda. Molto dipende però da cosa si cerca all’estero quando si lascia il proprio Paese e quindi dalla disponibilità di tempo e soldi. Se quindi per molti pensionati il tutto si riduce al lato economico connesso al risparmio per poter vivere meglio, per i giovani è più importante la carriera e il lavoro. Ecco che Ecuador e Thailandia vanno bene per il costo della vita, Cina e Norvegia per il lavoro e la carriera, mentre l’Olanda per la disponibilità di tempo libero.
Per quanto riguarda l’Ecuador certamente trasferirsi in Sudamerica non è semplice ma ben l’85% degli intervistati dà una valutazione economica positiva del Paese. Lo stato in effetti è il ritiro preferito dai pensionati Usa che preferiscono vivere da signori lontano da casa. Nel Paese in effetti un’abitazione costa meno della media europea e americana, e in generale il 94% di quelli che vi si sono trasferiti ritiene quello che guadagna sufficiente al proprio futuro, mentre il 47% incassa “anche più di quello che gli servirebbe” per le spese quotidiane.
Per chi è alla ricerca di risparmio un’altra meta è la Thailandia dove il costo della vita è nettamente inferiore all’occidente e dà possibilità che in Patria gli emigranti non potrebbero avere.  Il 74% degli stranieri che vanno a viverci ritiene “eccellenti” i prezzi di beni e servizi, mentre l’85% è felice di quanto paga per la casa visto che gli affitti sono accessibilissimi. L’altra faccia della medaglia sono i milioni di poveri e la conseguente frattura sociale tra città e campagne che crea un “sentimento di instabilità”.
La Cina invece negli ultimi anni è diventata la meta più ambita se si punta ad occasioni di carriera e lavoro. Il Paese con un Pil in continua crescita e un bisogno di tecnologie innovative in effetti è in cerca di un numero crescente di immigrati laureati. Quasi un immigrato su cinque in Cina oggi raggiunge un reddito superiore ai 75 mila dollari all’anno, mentre tre su cinque ritengono più che sufficiente lo stipendio. Ovviamente il Paese non brilla per libertà e qualità della vita che sono il punto debole.
La Norvegia è l’altra destinazione per chi aspira a fare carriera e vuole rischiare meno, visto che con bassa demografia e Pil in crescita il Paese offre ottime possibilità di impiego. Il Paese scandinavo in effetti soddisfa quattro intervistati su cinque contenti per il rapporto tra lavoro e carriera.
L’Olanda invece è la Nazione in cui emigrare se si è alla ricerca solo del vivere bene. Il Paese dei Tulipani infatti è in testa a tutte le classifiche per il rapporto fra tempo libero e lavoro, ma ha anche la proporzione tra tempo libero e reddito più vantaggiosa al mondo. In Olanda infatti c’è una settimana lavorativa media di 29 ore, cioé meno di 6 al giorno per cinque giorni lavorativi su 7, e un reddito medio di 35mila euro annui.

fonte

L'adesso!

L'attesa del domani che sciupa l'oggi
è il più grande ostacolo al vivere.

Seneca

Bella, Estate, Paesaggio, Fattoria italiana wallpapers

domenica 28 dicembre 2014

Perche no?

 

Rca, stop al tagliando di carta: “Da Aprile 2015 cambierà tutto”

assicurazioni 

Da aprile 2015, il contrassegno cartaceo della RCA non esisterà più, e tutti i conducenti di veicoli a motore su strada, compresi quindi quelli a due ruote, non dovranno più esibirlo, perché il controllo del pagamento del premio avverrà con la lettura delle targhe, attraverso l’archivio integrato della Motorizzazione civile. Questa, oltre ai dati dei veicoli, ha anche l’informazione sulle polizze di assicurazione. Attenzione: non arriverà nessun microchip, almeno per ora, soluzione che il ministero ritiene al momento inutilmente costosa. L’obiettivo di ridurre le frodi, contrastando la contraffazione dei contrassegni cartacei e l’evasione dell’obbligo assicurativo.
PER DECRETO – L’addio al contrassegno assicurativo cartaceo per tutti i veicoli a motore, è previsto in un decreto ministeriale, il 110 del 9 agosto 2013. Inizialmente l’idea, era quella di sostituire il vecchio talloncino in mostra sui parabrezza, con l’introduzione di un microchip capace non solo di registrare e segnalare l’avvenuto pagamento della rata assicurativa, ma in grado anche di permettere il controllo sulla velocità del veicolo e fornire informazioni sul traffico e persino di poter essere utilizzato per il pagamento dei parcheggi. Non se ne farà nulla: ci sarà solo l’addio al cartaceo. Solo successivamente, in futuro, il controllo della RCA potrà essere perseguito utilizzando i sistemi di rilevazione automatica delle targhe già in uso per il controllo della velocità e dell’accesso alle Zone a traffico limitato, come telecamere ZTL, autovelox o Tutor”. La fotografia delle targhe verrà trasferita all’archivio integrato della Motorizzazione civile che, attraverso controlli incrociati telematici tra banche dati, individuerà eventuali evasori del pagamento dell’assicurazione, avviando automaticamente la procedura di sanzionamento. Il nuovo meccanismo telematico di accertamento sarà utile però anche agli assicurati, che secondo il provvedimento, potranno verificare l’esistenza e validità della propria copertura con accesso personale, sempre garantito, attraverso moduli web alimentati in tempo reale.
NUMERI DA BRIVIDI – In Italia, ci sono 4,4 milioni di veicoli senza Rca. Simbolo della crisi e dei numerosi italiani che non riescono ad arrivare alla terza settimana del mese. Ma la situazione è ancora più calda a Napoli, dove uno su quattro non è assicurato. Nel 2005, eravamo a quota 1,5 milioni di veicoli privi di RCA, mentre adesso la stima di 4,4 milioni arriva dall’incrocio dei dati Ania (l’associazione degli assicuratori) con quelli dell’ACI sui veicoli immatricolati. Anche se la stessa Ania getta un po’ di acqua sul fuoco ricordando che molte auto lasciate in garage (per la crisi, le famiglie risparmiano sul carburante) non hanno l’obbligo di stipulare la Rca. Va infine ricordato che gli evasori RCA sono potenziali pirati della strada: causando un incidente, potrebbero fuggire per evitare di incorrere in sanzioni. Una ragione in più per stroncare l’evasione assicurativa.
CIAMPINO ALL’AVANGUARDIA – Ma qualche Comune si spinge più in là e dà la caccia agli evasori RCA. A Ciampino (Roma), è da poco entrato in funzione, a pieno regime, sulle strade di Ciampino il sistema Targa System, nuovo strumento tecnologico in dotazione alla Polizia locale capace di individuare in tempo reale i veicoli in transito privi di copertura assicurativa, senza revisione, rubati o oggetto di sequestro amministrativo. Questo strumento è composto da una telecamera che riprende tutti i veicoli in transito. Il programma installato su un computer portatile legge in meno di un secondo la targa dei mezzi in transito (ambo i lati della carreggiata) ed effettua in simultanea controlli incrociati nelle banche dati del ministero dell’Interno e dei Trasporti. Nel giro di 2 o 3 secondi sul computer vengono segnalate le eventuali anomalie, che permettono ad una pattuglia posizionata a qualche centinaio di metri di distanza, collegata con un tablet, di fermare i veicoli che risultano irregolari per il sistema e procedere al controllo dei documenti. Il sistema comunica in tempo reale con i tablet in dotazione al Comando e funziona in orario diurno e notturno. Il sito www.polizialocaleciampino.it e il profilo twitter @pl_ciampino annunciano sempre i controlli.
Link che ci piacciono
 

Marduk - Panzer Division


Il grande inganno del colesterolo

Nel suo ultimo libro (“Colesterolo: menzogne e propaganda”), un cardiologo e ricercatore al CNRS, il dottor Michel de Lorgeril mette un bastone tra le ruote. Secondo lui, far abbassare il colesterolo non serve a niente, buono e cattivo non avrebbe alcun senso e le statine sarebbero addirittura inutili.
In breve secondo lui, il colesterolo permetterebbe soprattutto alle industrie di fare un sacco di soldi...
1. Colesterolo redditizio per i laboratori
D: Perché il colesterolo è così diffamato?
R: Dr. Michel de Lorgeril:  "Il colesterolo è diventato il nemico numero uno nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, perché fa comodo a tutti. Gli interessi economici in gioco sono enormi, soprattutto dopo l’arrivo delle statine. Le aziende farmaceutiche hanno fatto di gran lunga i loro conti. I farmaci anti colesterolo rappresentano uno dei più grandi affari del mercato mondiale.
Contribuiscono a oltre 1 miliardo di euro nel deficit della previdenza sociale.
Anche le industrie agroalimentari beneficiano di questo, con le loro margarine e yogurt presumibilmente anticolesterolo.
Interessa anche molti medici che così possono praticare una medicina per così dire sistematica"
2 .  Colesterolo buono e cattivo "di altezza"
D: I termini buono e cattivo, o tasso normale che senso hanno?
R: Dr. Michel de Lorgeril:  "Il concetto di colesterolo 'buono' e 'cattivo' è una panzana.
Pure Walt Disney con la strega cattiva e la fata bella cercano di nascondere le debolezze della teoria del colesterolo. Vi sono studi clinici come Illuminate del 2007, che mostrano come l'aumento del colesterolo buono e l’abbassamento di quello cattivo non proteggono dalle malattie cardiovascolari! 
Quanto al tasso normale di colesterolo, si parla sempre di una media. Per i parametri biologici o fisiologici, ci sono le medie e delle differenze. Una persona può avere dei valori medi verso l’alto odei valori medi verso il basso, senza avere per questo un problema di salute.
"
3. I pericoli del colesterolo sono una credenza?
D: Perché siete contrari alla teoria comunemente accettata sui pericoli del colesterolo?
R: Dr. Michel de Lorgeril: "Secondo questa teoria, il colesterolo è tossico per le arterie.
Rappresenterebbe  la principale causa di infarti, ictus e complicanze cardiovascolari.
Più il colesterolo aumenta e maggiore è il rischio. Viceversa più il suo tasso è basso e più il pericolo diminuisce. Alcuni fautori di questa teoria, raccomandano quindi di abbassare al massimo il colesterolo. Ma queste sono solo delle ipotesi senza validazione scientifica. Sono credenze indotte  dalle industrie farmaceutiche e alimentari. E non hanno una base razionale.
"
4. Colesterolo e infarto: nessun rapporto?
D: Il colesterolo alto non è sinonimo di malattia cardiovascolare?
R: Dr. Michel de Lorgeril: "L’aumento del colesterolo non è di per sé una causa di problemi cardiovascolari. Esso può per contro essere letto come una alterazione dello stile di vita nei parametri biologici, vera e unica cause della malattie cardiovascolari.
Chiaramente, il colesterolo è un semplice indicatore di rischio.
Numerosi studi vanno in questa direzione.
Dagli anni '70, i dati mostrano che la mortalità cardiaca rimane generalmente la stessa, a prescindere dal livello di colesterolo nel sangue.
Il nostro stile di vita e le nostre condizioni di esistenza, diminuiscono l’aspettativa e speranza di vita, non il colesterolo.
"
5. Far abbassare il colesterolo non serve a niente
D: Il livello di colesterolo non fornisce alcuna protezione?
R: Dr. Michel de Lorgeril:  "No, far abbassare il tasso di colesterolo non serve a niente.
Tutti gli studi clinici pubblicati dopo il 2005 sono stati negativi sulla questione. Il tasso di colesterolo si può ridurre con la dieta o l'assunzione di farmaci. Ma se contemporaneamente, lo stile di vita non cambia, il rischio rimane lo stesso. Se per esempio una persona continua a fumare, pensando di essere protetto dalla statina, essa andrà verso il disastro"
6. Statine: nessuna prevenzione
D: Le statine aiutano a proteggere dalle malattie cardiovascolari?
R: Dr. Michel de Lorgeril: "No, non forniscono alcuna protezione. Abbassano il colesterolo ma senza alcun effetto sulla mortalità. Molti studi su questi farmaci restano sospetti a causa del coinvolgimento delle industrie farmaceutiche.
Il programma ALLHAT del 2002, il solo sponsorizzato da istituzioni pubbliche indipendenti, non mostra alcuna protezione malgrado il colesterolo basso.
Tutti gli studi dopo il 2005 non mostrano alcun effetto sulla mortalità, a parte il recente e molto controverso studio Jupiter. Sul rischio di ictus, non c’è nessuna prova o dato scientifico dell’utilità delle statine. Stessa cosa nell’insufficienza cardiaca
"
7. Gli effetti collaterali delle statine
D: Ci sono rischi per i pazienti che assumono le statine?
R: Dr. Michel de Lorgeril: "Le statine hanno numerosi effetti collaterali. Per le persone attive, sembrano influenzare la qualità della vita causando dolori muscolari e depressione.
A lungo termine, esiste anche un aumentato rischio di cancro, specialmente nelle persone con più di 60 anni. Lo studio PROSPER del 2002 mostra maggior incidenza di cancro e numero di morti per cancro nei pazienti che usavano la pravastatina, rispetto alle persone senza trattamento.
Attenzione però, i pazienti non devono interrompere il trattamento farmacologico senza prima parlarne con il loro medico.
Ma la prescrizione di statine sembra peggiore del sangue infetto in termini di numeri. Ben 7 milioni di francesi prendono questi farmaci inutilmente
. "
8. Le vere cause delle malattie cardiovascolari
D: Se il colesterolo non c’entra, cosa provoca gli infarti?
R: Dr. Michel de Lorgeril: "L’infarto viene quando c’è un’arteria coronaria completamente bloccata. Nella maggioranza dei casi, la causa è un coagulo di sangue. La formazione del coagulo dipende da tre fattori: l'aggregazione delle piastrine sanguigne, la coagulazione e la fibrinolisi, un meccanismo anti coagulo. Il colesterolo interviene in uno di questi fenomeni.
Quanto alle lesioni aterosclerotiche, esse intasano le arterie in parte, ma mai completamente. Il colesterolo rappresenta al massimo il 10% di queste lesioni. Quindi 10% di una parziale ostruzione, che non è essa stessa responsabile dell’infarto. "
9. Come proteggere il cuore e le arterie
D: Quali misure dovrebbero essere prese per proteggersi dalle malattie cardiovascolari?
R: Dr. Michel de Lorgeril: "Tutte le malattie cardiovascolari sono malattie legate allo stile di vita. Da qui l'importanza di agire in particolare su tre fattori: fumo, esercizio fisico e dieta.
Chiaramente, non fumare e cercare di respirare aria pulita. Si dovrebbe anche effettuare una adeguata attività fisica.
Per l’alimentazione, la dieta mediterranea ha dimostrato la sua efficacia clinica. In sintesi, una dieta ricca di cereali non raffinati, frutta e legumi freschi, legumi secchi, noci e frutta essiccata, olio d'oliva e erbe aromatiche
.
10. Perché il mondo medico rimane in silenzio
D: Perché molti medici non condividono i loro dubbi sul colesterolo e statine?
R: Dr. Michel de Lorgeril: "In primo luogo, non hanno accesso ai media. Ma se molti medici non dicono nulla, è anche per paura. Uno dei più grandi epidemiologi mondiali ha appena letto il mio lavoro sullo studio Giove, che riguarda l'uso preventivo delle statine. Ha detto che approva e mi sostiene. Ma si rifiuta di co-firmare il mio articolo. Il motivo: l'università per cui lavora ha contratti con l'industria farmaceutica…
Per quanto riguarda i medici di base, molti non hanno il coraggio di esprimere i loro dubbi a pazienti per paura di essere criticati dal cardiologo dell’ospedale.
Fonti:
-  Colesterolo, bugie e la propaganda, il dottor Michel de Lorgeril, ed. Thierry Souccar 2008 delorgerilm20071001ent1
- Effetti del Torcetrapib nei pazienti ad alto rischio di eventi coronarici, Barter PJ et al, N Engl J Med 2007 ..
- colesterolo HDL, livelli molto bassi di colesterolo LDL ed eventi cardiovascolari, Barter PJ et al, N Engl J Med, 2007.
- i risultati principali in pazienti ipertesi moderatamente ipercolesterolemici randomizzati a pravastatina vs consueta attenzione: l'ALLHAT-LLT, ALLHAT Collaborative Research Group, JAMA, 2002.
- Rosuvastatina nei pazienti anziani con insufficienza cardiaca sistolica, Kjekhus J et al, N Engl J Med 2007
- Pravastatin in individui anziani a rischio di malattia vascolare (PROSPER): un trial randomizzato controllato, Pastore J et al, Lancet, 2002 ..
- Alte dosi di atorvastatina vs simvastatina a dosaggio standard per la prevenzione secondaria efficace infarto del miocardio. Lo studio IDEAL: uno studio controllato randomizzato, Pedersen TR et al, JAMA, 2005 ..
- è relazione betweens colesterolo e rischio di morte prematura per malattia coronarica continuo e graduale? Accertamenti 356,222 screenees primarie del MRFIT, Stamler J et al, JAMA, 1986 ..
- Dieta mediterranea, tradizionale factoring rischio e il tasso di complicanze cardiovascolari efficace infarto del miocardio - Relazione finale del Lyon Diet Heart Study, De Lorgeril M et al ., Circulation, 1999

Di
Roberto De Santo
Alcuni pescatori hanno catturato a Campora San Giovanni 14 tonnetti malformati. Una vicenda che richiama quanto accaduto lo scorso anno al largo di Fiumefreddo
Due esemplari catturati al largo di Amantea
Due esemplari catturati al largo di Amantea
AMANTEA Se non è ancora allarme, poco ci manca. Ma l’ipotesi che qualcosa nei fondali del Tirreno cosentino stia accadendo sembra sempre più prendere consistenza e forma. Nelle scorse settimane e per due pescate di seguito, al largo di Campora San Giovanni, alcuni pescatori locali hanno catturato quattordici esemplari di tonnetti “alletterati” (una delle specie di tonno più diffuse nel Mediterraneo, la peculiarità sta nella colorazione azzurro-bluastra sul dorso), tutti con una malformazione alla colonna vertebrale. A destare preoccupazione, soprattutto, la circostanza della ripetitività delle catture nella stessa zona. I pescatori amatoriali, infatti, allarmati dalla strana conformazione dei primi 12 tonnetti catturati, sono ritornati nei pressi dello specchio d’acqua – nei pressi del porto della popolosa frazione di Amantea – dove avevano abboccato i pesci e lì ne hanno raccolto altri due trovandoli anch’essi con la stessa anomalia.
Una vicenda che si tinge decisamente di nero alla luce di un’altra storia simile segnalata dal Corriere della Calabria lo scorso anno, quando a settembre del 2013 altri pescatori amatoriali catturarono – non lontano dalla costa di Fiumefreddo Bruzio e dunque a pochi chilometri di distanza da Campora – altri esemplari sempre della stessa specie e con l’identica malformazione scheletrica: la spina dorsale bifida. In quell’occasione un laboratorio privato, su incarico del biologo marino Silvio Greco, svolse delle approfondite analisi sui campioni di lisca di due dei quattro pesci catturati con questa anomalia (nel corso della battuta erano stati presi dieci esemplari) ed emerse un aspetto decisamente inquietante: i resti degli animali esaminati erano contaminati da metalli pesanti e da Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa). Proprio quest’ultima sostanza – ritenuta pericolosi per gli effetti sulla salute dell’uomo – presentava un valore più alto della norma. Non solo, sempre da quelle analisi – realizzate per conto di Greco – uscì fuori che nelle lische dei tonnetti erano presenti parametri al di sopra della norma di tre policlorobifenili (Pcb). Composti organici considerati altamente nocivi per gli esseri umani visto che alcuni studi scientifici ne delineano l’elevato nesso di causalità con la contrazione di malattie tumorali.Tutti aspetti che alla luce delle identiche anomalie anatomiche che presentano gli esemplari catturati a Campora fanno ritenere plausibile che anche questi siano tonnetti contaminati dalle stesse sostanze chimiche. Un’ipotesi che – se dovesse essere supportata da dettagliate analisi sui pesci catturati a largo delle coste amanteane – solleverebbe con maggiore insistenza l’allarme di una possibile contaminazione lungo il Tirreno cosentino. Soprattutto alla luce che i pesci pescati sia nel caso di Fiumefreddo sia di Campora San Giovanni sarebbero nati nella zona: la lunghezza non supererebbe, infatti, i trenta centimetri. Anche se c’è da sottolineare che i tonnetti catturati appartengono a una specie pelagica, capace cioè di percorrere centinaia di chilometri e che nella baia di Augusta, nel corso degli anni, sono stati segnalati diversi casi di pesci deformi. Un aspetto che potrebbe lasciare intendere che da lì possano essere arrivati almeno i progenitori dei pesci catturati al largo delle coste del Tirreno cosentino. Ciononostante restano alcuni elementi inquietanti: la concomitanza delle catture nella stessa zona, la ripetitività almeno negli ultimi due anni e la giovane età degli esemplari. Circostanze, queste, che lasciano completamente aperta l’ipotesi dell’esistenza di un focolaio di contaminazione proprio in territorio calabro.
L’ANALISI DELL’ESPERTO
«È evidente che a questo punto c’è qualcosa di sospetto e che, per questo, meriti tutti gli approfondimenti del caso». Il biologo marino Silvio Greco alza il livello d’attenzione sulla vicenda degli esemplari malformati. Soprattutto dopo le nuove catture di tonnetti al largo di Campora San Giovanni che presentano la spina dorsale bifida. «La letteratura scientifica – spiega Greco – è concorde nell’affermare che questo genere di mutazione è dovuta alla contaminazione da metalli pesanti e da idrocarburi. Resta da comprendere dove sia collocata la fonte d’inquinamento e a cosa sia dovuta». Per questo il noto biologo marino invoca «la costituzione di un gruppo di esperti per capire con esattezza l’ampiezza e l’origine del fenomeno». Per fare questo senza dubbio dovranno per primi intervenire i tecnici dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente calabrese. «Un primo step – sostiene Greco – per avviare un monitoraggio più ampio e più complesso con il coinvolgimento auspicabile di altri specialisti del settore».
 
r.desanto@corrierecal.it
(Articolo tratto dall’edizione n. 179 del Corriere della Calabria in edicola dal 5 al 11 dicembre del 2014)
LINK
- See more at: http://www.altrainformazione.it/wp/2014/12/26/il-terrore-viene-dal-mare/#sthash.SuKWTfgm.dpuf
Di
Roberto De Santo
Alcuni pescatori hanno catturato a Campora San Giovanni 14 tonnetti malformati. Una vicenda che richiama quanto accaduto lo scorso anno al largo di Fiumefreddo
Due esemplari catturati al largo di Amantea
Due esemplari catturati al largo di Amantea
AMANTEA Se non è ancora allarme, poco ci manca. Ma l’ipotesi che qualcosa nei fondali del Tirreno cosentino stia accadendo sembra sempre più prendere consistenza e forma. Nelle scorse settimane e per due pescate di seguito, al largo di Campora San Giovanni, alcuni pescatori locali hanno catturato quattordici esemplari di tonnetti “alletterati” (una delle specie di tonno più diffuse nel Mediterraneo, la peculiarità sta nella colorazione azzurro-bluastra sul dorso), tutti con una malformazione alla colonna vertebrale. A destare preoccupazione, soprattutto, la circostanza della ripetitività delle catture nella stessa zona. I pescatori amatoriali, infatti, allarmati dalla strana conformazione dei primi 12 tonnetti catturati, sono ritornati nei pressi dello specchio d’acqua – nei pressi del porto della popolosa frazione di Amantea – dove avevano abboccato i pesci e lì ne hanno raccolto altri due trovandoli anch’essi con la stessa anomalia.
Una vicenda che si tinge decisamente di nero alla luce di un’altra storia simile segnalata dal Corriere della Calabria lo scorso anno, quando a settembre del 2013 altri pescatori amatoriali catturarono – non lontano dalla costa di Fiumefreddo Bruzio e dunque a pochi chilometri di distanza da Campora – altri esemplari sempre della stessa specie e con l’identica malformazione scheletrica: la spina dorsale bifida. In quell’occasione un laboratorio privato, su incarico del biologo marino Silvio Greco, svolse delle approfondite analisi sui campioni di lisca di due dei quattro pesci catturati con questa anomalia (nel corso della battuta erano stati presi dieci esemplari) ed emerse un aspetto decisamente inquietante: i resti degli animali esaminati erano contaminati da metalli pesanti e da Idrocarburi policiclici aromatici (Ipa). Proprio quest’ultima sostanza – ritenuta pericolosi per gli effetti sulla salute dell’uomo – presentava un valore più alto della norma. Non solo, sempre da quelle analisi – realizzate per conto di Greco – uscì fuori che nelle lische dei tonnetti erano presenti parametri al di sopra della norma di tre policlorobifenili (Pcb). Composti organici considerati altamente nocivi per gli esseri umani visto che alcuni studi scientifici ne delineano l’elevato nesso di causalità con la contrazione di malattie tumorali.Tutti aspetti che alla luce delle identiche anomalie anatomiche che presentano gli esemplari catturati a Campora fanno ritenere plausibile che anche questi siano tonnetti contaminati dalle stesse sostanze chimiche. Un’ipotesi che – se dovesse essere supportata da dettagliate analisi sui pesci catturati a largo delle coste amanteane – solleverebbe con maggiore insistenza l’allarme di una possibile contaminazione lungo il Tirreno cosentino. Soprattutto alla luce che i pesci pescati sia nel caso di Fiumefreddo sia di Campora San Giovanni sarebbero nati nella zona: la lunghezza non supererebbe, infatti, i trenta centimetri. Anche se c’è da sottolineare che i tonnetti catturati appartengono a una specie pelagica, capace cioè di percorrere centinaia di chilometri e che nella baia di Augusta, nel corso degli anni, sono stati segnalati diversi casi di pesci deformi. Un aspetto che potrebbe lasciare intendere che da lì possano essere arrivati almeno i progenitori dei pesci catturati al largo delle coste del Tirreno cosentino. Ciononostante restano alcuni elementi inquietanti: la concomitanza delle catture nella stessa zona, la ripetitività almeno negli ultimi due anni e la giovane età degli esemplari. Circostanze, queste, che lasciano completamente aperta l’ipotesi dell’esistenza di un focolaio di contaminazione proprio in territorio calabro.
L’ANALISI DELL’ESPERTO
«È evidente che a questo punto c’è qualcosa di sospetto e che, per questo, meriti tutti gli approfondimenti del caso». Il biologo marino Silvio Greco alza il livello d’attenzione sulla vicenda degli esemplari malformati. Soprattutto dopo le nuove catture di tonnetti al largo di Campora San Giovanni che presentano la spina dorsale bifida. «La letteratura scientifica – spiega Greco – è concorde nell’affermare che questo genere di mutazione è dovuta alla contaminazione da metalli pesanti e da idrocarburi. Resta da comprendere dove sia collocata la fonte d’inquinamento e a cosa sia dovuta». Per questo il noto biologo marino invoca «la costituzione di un gruppo di esperti per capire con esattezza l’ampiezza e l’origine del fenomeno». Per fare questo senza dubbio dovranno per primi intervenire i tecnici dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente calabrese. «Un primo step – sostiene Greco – per avviare un monitoraggio più ampio e più complesso con il coinvolgimento auspicabile di altri specialisti del settore».
 
r.desanto@corrierecal.it
(Articolo tratto dall’edizione n. 179 del Corriere della Calabria in edicola dal 5 al 11 dicembre del 2014)
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Quando scoprirai chi sei, riderai di ciò che credevi d’essere.

Buddha

 che ridere…

sabato 27 dicembre 2014

Turisas - Battle Metal


Barca

 

Addio a 250 presidi della Polizia

Colpiti gli uffici della ferroviaria, stradale, postale e telecomunicazioni. Nel mirino anche i reparti speciali delle squadre nautiche e dei sommozzatori

PRESIDI_SCOMPARIRANNO

Conto alla rovescia per Polizia Stradale, Polizia Ferroviaria, Polizia Postale e delle Telecomunicazioni, Polizia di Frontiera più alcuni Reparti Speciali, come Squadre Nautiche, Sommozzatori e Pattuglie a cavallo. Duecentocinquantuno presidi in tutta Italia si preparano a chiudere i battenti nel segno di una razionalizzazione dettata dalla crisi.
«Una chiusura feroce e indiscriminata di uffici di fondamentale importanza per la sicurezza del Paese e dei cittadini – commentano indignati dal Sap -. Se la Sicurezza dell’Italia non è una priorità di questo governo, lo si dica chiaramente, ma che non si provi a mascherare un fendente letale con una carezza».
Ma scendiamo un po’ più nel dettaglio.
Tra i presidi sui quali si abbatterà la scure del governo c’è la Squadra Sommozzatori di Olbia, attualmente l’unico reparto subacqueo della Sardegna settentrionale, considerando che gli stessi reparti della Capitaneria di Porto e dei carabinieri sono a Cagliari, mentre quello dei Vigili del Fuoco – tra l’altro già ridotto – si trova a Sassari.
Non costa nulla al ministero dell’Interno, occupando locali messi a disposizione gratuitamente dalla società di gestione dell’Aeroporto, eppure l’ufficio di Polizia di Frontiera Marittima/Aerea nello scalo internazionale di Pescara è nella stessa lista nera. Perfino le spese di manutenzione e i consumi sono a carico di un aeroporto con un traffico annuo di circa 5mila voli ed un transito passeggeri superiore al mezzo milione. Ma tant’è.
Addio anche a 74 uffici di Polizia Postale e delle Telecomunicazioni. «Nell’era di internet, delle truffe e dei reati on line come la pedopornografia, si sguarnisce il territorio di reparti altamente specializzati nella tutela delle reti informatiche e della sicurezza dei dati – commenta Gianni Tonelli, segretario generale del Sap -. Si pensi che solamente nell’ultimo anno la Polizia Postale ha scoperto oltre 4mila transazioni bancarie informatiche sospette, per importi complessivi che sfiorano i 40 milioni di euro. Oltre 3mila operazioni sono state bloccate prima che il denaro venisse trafugato. Tutto questo con le spese di natura logistica e organizzativa interamente a carico di Poste italiane».
Festa grande anche per gli automobilisti indisciplinati, per i banditi in circolazione sulle autostrade e nelle più importanti arterie del Paese: in Italia spariranno a breve ben 33 reparti della Polizia Stradale.
Si chiude in rete, in cielo, in mare, in strada. Potevano mancare le rotaie? «Cinquantuno uffici di Polizia Ferroviaria saranno trasformati presto in "punti appoggio" – risponde sarcastico Tonelli -, uffici vuoti ai quali gli agenti in transito possono fare riferimento logistico per non più di qualche ora al giorno, riconsegnando così molte stazioni al degrado e alla criminalità».
In uno dei porti commerciali più importanti del Mediterraneo, ambito e utilizzato dalla criminalità organizzata per i suoi affari, chiuderà l’ufficio di Polizia di Frontiera. Gioia Tauro, a Reggio Calabria, dove non si contano i sequestri di droga e di armi avrà un posto di polizia in meno. «E dire che la Commissione Antimafia ha ritenuto Gioia Tauro un punto di snodo degli interessi delle organizzazioni criminali italiane – fa notare Tonelli -. Anche noi vogliamo una spending review seria e ragionevole e da anni siamo promotori di un progetto di unificazione delle forze di polizia. Questo, però, è un colpo mortale all’apparato della sicurezza. Il nostro è un no secco e definitivo alla chiusura indiscriminata e selvaggia di presidi di vitale importanza per tutto il Paese, per scongiurare la quale il Sap sta distribuendo in tutta Italia, a cittadini e poliziotti, migliaia di cartoline da compilare e spedire al premier Renzi».

Silvia Mancinelli 

Nel qui ed ora

 

Ascoltare...

Mi piace ascoltare. No, non le parole.
Mi piace ascoltare gli sguardi, i gesti.
Mi piace ascoltare l'anima delle persone.


(A. Degas) 

The Secret to Staying Sought-After 

venerdì 26 dicembre 2014

Sostituire l’olio di palma entro il 2015: l’impegno dei grandi marchi dell’industria alimentare

Una bella notizia dal mondo dell'industria alimentare: alcune grandi catene si impegnano a sostituire l'olio di palma con prodotti meno dannosi per l'ambiente e la salute

Sostituire l'olio di palma entro il 2015: l'impegno dei grandi marchi dell'industria alimentare
Sostituire l'olio di palma: ecco chi si impegna a farlo

SOSTITUIRE OLIO DI PALMA -

Alcuni noti marchi del mondo dell’industria alimentare si impegnano a sostituire l’olio di palma con prodotti meno dannosi per l’ambiente e la salute. Ikea, Ld Market, Coop, Md Discount ed Esselunga sono le industrie che si impegnano a produrre i propri prodotti senza l’utilizzo dell’olio che si ricava dalla palma che è molto dannoso per l’ambiente e per la salute.

DANNI OLIO DI PALMA SULL’AMBIENTE -

I danni per l’ambiente dovuti alla produzione dell’olio di palma sono ingenti per via del fatto che la coltivazione delle palme da olio sta causando la deforestazione di tante aree del mondo. Per far posto alle palme, vista l’elevata richiesta dell’olio, infatti, vengono distrutti ettari di foreste pluviali che sono l’habitat di numerosi animali.

DANNI OLIO DI PALMA SULLA SALUTE -

Oltre ad essere dannoso per l’ambiente, l’olio di palma è deleterio anche per la salute. Assumere olio di palma in maniera sporadica non causa danni ma la maggior parte dei prodotti dolciari e da forno utilizza questo olio ricco di grassi saturi che possono raggiungere anche il 50% nel caso dell’olio di palma derivato dai frutti e l’80% nell’olio di palmisto, derivato dai semi. I grassi saturi vanno ad ostruire le arterie causando colesterolo.

PRODOTTI CHE CONTENGONO OLIO DI PALMA -

A volte è difficile capire in quali prodotti è contenuto l’olio di palma, la maggior parte delle volte è scritto nell’etichetta, molte altre vi è solo la dicitura “olio vegetale”. L’olio di palma viene utilizzato nelle merendine e nei dolci, nei crackers e nei prodotti da forno e nei cibi fritti.

COME SOSTITUIRE OLIO DI PALMA -

L’olio di palma ha un costo molto contenuto per questo le industrie sono restie a cambiarlo con un olio più sostenibile. Inoltre l’olio di palma non diventa rancido come il burro e non ha un sapore pungente come quello d’oliva. E’ da apprezzare dunque l’impegno delle aziende che hanno dato la disponibilità di abolire questo prodotto, senza inficiare sul prezzo, entro la fine del 2015.

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