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martedì 7 ottobre 2014

Ecco i fermioni di Majorana

Osservata a Princeton una particella esotica che si comporta contemporaneamente come materia e antimateria. L’esperimento che l’ha isolata e rilevata, utilizzando atomi di piombo e ferro, potrebbe avere importanti conseguenze nello sviluppo dei computer quantistici
La "collana" di atomi di ferro e, ingrandita, la rappresentazione cromatica, in base alla topologia, della probabilità quantistica di trovarvi il fermione di Majorana. Crediti: Yazdani Lab, Princeton University
La “collana” di atomi di ferro e, ingrandita, la rappresentazione cromatica, in base alla topologia, della probabilità quantistica di trovarvi il fermione di Majorana. Crediti: Yazdani Lab, Princeton University

Poi si stupiscono che non si trovava. Sfido, visto quel che c’è voluto. Per incastrare un fermione di Majorana, la leggendaria particella bisex, materia e antimateria di sé stessa, teorizzata nel 1937 da un fisico altrettanto leggendario, è stato necessario, nell’ordine, tutto quel che segue (se volete replicare l’esperimento, è il momento di prendere appunti).
Primo, un microscopio a effetto tunnel alto quanto due piani d’un palazzo e mantenuto sospeso – come? galleggiando… – in un laboratorio a bassissimo tasso di vibrazioni come quello presente al Jadwin Hall di Princeton. Secondo, un cristallo di piombo ultrapuro, con gli atomi disposti una fila sì e una no, così da lasciare spazio a lunghe e sottilissime valli, larghe appunto un atomo, tra una cresta e l’altra. Terzo, si sono “riempite” queste valli con atomi di ferro – purissimo anch’esso, ça va sans dire – così da dare origine a “fili di perle” larghi un atomo e alti tre, ottenendo una “bacchetta” che, se fosse larga come una matita, sarebbe lunga più o meno un metro e mezzo, scrivono i ricercatori. Quarto, non soddisfatti, hanno portato il tutto a un grado sopra lo zero assoluto, vale a dire 272 gradi sotto zero, così da rendere la “collana di perle di ferro” un superconduttore.
E poi? E poi c’è voluta una tenacia che rasenta la cocciutaggine, perché il risultato s’è fatto attendere per due lunghi anni. Ma quando il filamento atomico ha finalmente raggiunto lo stato desiderato dai ricercatori, proprio come predetto nel 2001 dal fisico teorico Alexei Kitaev, la fatica è stata ampiamente premiata: il microscopio a scansione ha rilevato alle estremità del superconduttore, esattamente là dov’era atteso, un segnale elettricamente neutro: la traccia dei fermioni di Majorana. Non solo: la configurazione dell’esperimento ha consentito addirittura di mappare la probabilità quantistica di trovare fermioni di Majorana anche fra un’estremità e l’altra, lungo il filo di atomi di ferro. E ne è emerso che le chance d’imbattersi nell’ineffabile particella sono confinate alle sole estremità.
«Ciò dimostra che questo segnale si presenta solo ai bordi. E questo è il tratto cruciale: senza di esso, il segnale potrebbe presentarsi per molte altre ragioni», spiega il fisico alla guida dell’esperimento, nonché coautore dell’articolo pubblicato questa sera sull’edizione online di Science, Ali Yazdani. Aggiungendo una considerazione disarmante, visto il procedimento seguito per giungere al risultato: «L’aspetto più eccitante è che è tutto molto semplice: non si tratta d’altro che di piombo e di ferro». Anzi, a quanto scrivono i ricercatori non è nemmeno necessario che sia proprio ferro: a garantire – o quasi – che i fermioni di Majorana facciano la loro apparizione basta infatti la configurazione dell’esperimento. E i dettagli sul materiale, purché sia magnetico, passano in secondo piano.
In realtà non è la prima volta che l’intuizione di Ettore Majorana sembra trovare soddisfazione. C’è chi ritiene (anche se fra i fisici delle particelle è un’opinione minoritaria) che lo stesso neutrino possa essere un fermione di Majorana. E persino la dark matter rientra nella rosa dei candidati – avvantaggiata peraltro dal dettaglio non trascurabile che nessuno ha la benché minima idea di che cosa sia. Quanto ai fermioni di Majorana sintetici, “evocati in laboratorio”, già nel 2012, in un laboratorio olandese, se n’erano intraviste le tracce in materiale semiconduttore. Ma questa volta, sostengono gli autori della scoperta, le hanno proprio osservate. E il fatto che il materiale superconduttore utilizzato sia “comune” ferro – nell’esperimento olandese era il niente affatto comune antimoniuro di indio – apre la strada ad almeno un’applicazione pratica di grande interesse per questi fermioni: usarli come qubit nei computer quantistici. In particolare, come qubit in grado di sfruttare un fenomeno, niente affatto intuitivo, che deriva dal cosiddetto principio di sovrapposizione: assumere contemporaneamente il valore zero e uno. Una realtà al di là dell’immaginabile per noi comuni mortali. Ma una manifestazione del tutto plausibile per una particella che è anche l’antiparticella di sé stessa. E per un trentunenne geniale che, con quasi un secolo d’anticipo, ne previde l’esistenza e poi sparì.
 Per saperne di più:
Guarda l’animazione video dell’esperimento:


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