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mercoledì 14 gennaio 2015

La grande fuga

Tutti i dati relativi all’espatrio dei cittadini italiani, rilevati negli ultimi dieci anni, ci mostrano una tendenza che non accenna ad arrestarsi e anzi dal 2010 al 2013 ha subito un deciso incremento.
Questa situazione fotografa quella che potrebbe essere una grande fuga da un Paese in declino, tale e quale a quella che si registrò a partire dall’unità d’Italia sino al secondo Dopoguerra.
I compatrioti iscritti all’Anagrafe italiani residenti estero (Aire) con età compresa tra i 20 e i 40 anni sono arrivati a 316.000 unità tra il 2000 e il 2010, con una media di 30.000 espatri l’anno. Possiamo tranquillamente ipotizzare che ogni due espatriati, uno non si registri all’Aire e quindi la stima ufficiosa potrebbe arrivare a 60.000 giovani espatriati ogni anno.
In soli sette anni i laureati emigrati all’estero sono aumentati del 40%.
Nel 2011 (Rapporto Migrantes) i cittadini italiani iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero erano 4.115.235 con un incremento di 90.000 rispetto al 2010 e di un milione rispetto al 2005.
Nella tabella seguente mostriamo la classifica dei dieci Paesi con il maggior numero di italiani residenti al 2013 (fonte Aire):
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Nazione Popolazione italiana residente
Argentina 691.481
Germania 651.852
Svizzera 558.545
Francia 373.145
Brasile 316.699
Belgio 254.741
Stati Uniti 223.429
Gran Bretagna 209.720
Canada 137.045
Australia 133.123

La grande fugaIn pratica quasi il 7% della popolazione italiana risiede attualmente all’estero con una netta prevalenza del continente europeo (56%) seguito dal Sud America (30%), il Nord America (9%) e l’Australia (3%).
Rispetto alla globalità delle fasce d’età considerate nella tabella, vale la pena focalizzare l’attenzione sulle classi più giovani.
Secondo Confimpreseitalia, dei 60 mila giovani espatriati il 70% sono laureati.
Quest’ultimo dato è il più problematico e preoccupante.
Per farvi capire l’enorme danno che il nostro Paese subisce permettendo l’emigrazione di questa moltitudine di laureati, potremmo farvi una semplice metafora.
Immaginate di essere un appassionato di auto d’epoca e che un giorno decidiate di comprare una vecchia e malandata Alfa Spider.
Con passione, dedizione, tempo e impegno economico, anno dopo anno riparate il motore, risistemate la carrozzeria, rifate gli interni, ecc.
Finalmente, dopo tanta fatica, la vostra Alfa è pronta, un vero gioiello.
Un giorno mentre siete lì a contemplare il risultato finale arriva uno sconosciuto, vi sfila le chiavi di mano, sale sulla vostra stupenda automobile e sgommando se la porta via.
La medesima cosa accade 42.000 (70% di 60.000) volte all’anno al nostro Paese.
Lo Stato italiano dedica tempo, competenze e risorse economiche per una formazione di prim’ordine dei suoi giovani poi, dato che non è in grado di offrire il lavoro per il quale ha istruito le sue giovani leve, arriva uno stato estero, si prende le nostre eccellenze, a costo zero, e senza ringraziare se le porta via.
Secondo i dati Ocse (2013) il nostro governo spende circa 7.000 euro all’anno per l’istruzione di ogni giovane italiano.
Considerando che gli anni di istruzione, dalle scuole d’infanzia sino al termine dell’università (non considerando gli anni fuori corso) sono 18, è facile calcolare che per ogni giovane laureato vengono spesi 18 °— 7.000 = 126.000 euro di fondi pubblici.
Da diversi anni ci si arrovella il cervello nel tentare di arginare il debito pubblico (che ha toccato cifre inimmaginabili) ma moltiplicando i 126.000 euro per i 42.000 laureati che ogni anno regaliamo ai nostri competitors esteri otteniamo questo semplice quadro: 126.000 °— 42.000 = 5.292.000.000 di euro di debito pubblico aggiuntivo ogni anno.
5.292.000.000 (5 miliardi e 292 milioni) di euro che ogni anno il nostro Paese regala agli altri Stati.

Vista la situazione, possiamo asserire, senza tema di smentita, che la Repubblica italiana è così ricca e generosa da potersi privare di 5 miliardi di euro ogni anno e regalarli ad altri Paesi (evidentemente più bisognosi).
Altro che crisi!
Sfortunatamente però i conti non si esauriscono con la determinazione delle regalie profuse dal Paese del Bengodi (il nostro), bisogna anche calcolare quanto reddito non sarà prodotto o meglio quanto debito non sarà ripagato dai giovani fuggitivi.
Nel 2012 erano calcolati 80.000 euro di debito pubblico e 250 mila euro di debito pensionistico gravanti su ogni giovane (laureato o meno), quindi (80.000 + 250.000) euro °— 60.000 giovani costretti a espatriare = 19.800.000.000 (19 miliardi e 800 milioni) di euro aggiuntivi che ogni anno finiscono sul groppone degli sventurati giovani che decidono di rimanere nel nostro Paese.
A questo punto il saldo negativo annuo tocca i 25 miliardi di euro e rappresenta il conto (salato) presentato a un Paese che non è in grado di impiegare le proprie giovani e potenziali forze lavoro in maniera fruttifera.
Se i calcoli sopra riportati mostrano una situazione statica, ovvero una fotografia al 2013, le prospettive future potrebbero essere ancora più negative. Secondo un’indagine Eurispes, nel 2011 il 50,9% dei giovani tra i 25 e i 34 anni era disposto a lasciare l’Italia. Sul fronte dei neolaureati le percentuali arrivavano addirittura all’80% (indagine Bachelor).
Se davvero permettessimo questo esodo non ci rimarrebbe che trasformarci in un Paese sorretto dalle rimesse dei propri migranti (come la Moldavia o l’Albania).
Riferisco una valutazione inserita nel rapporto 2012 dell’Osservatorio di politica internazionale (emanazione diretta del nostro governo): «È soprattutto il dato del 2011 che colpisce, perché a fronte di una crescita bassa del Pil (0,4%), la crescita delle rimesse è molto più alta. Ciò significa che in un contesto di crisi economica come quello che caratterizza il triennio, l’emigrazione può rappresentare una valvola di sicurezza, che garantisce alla bilancia dei pagamenti una risorsa ulteriore per la stabilità».
Cosa avevo detto poc’anzi? Siamo sulla strada della Moldavia…
Da dove ci dovremo aspettare le prossime rimesse dei nostri giovani migranti? Secondo Aire nel 2012 la classifica dei Paesi costituenti la top five delle mete preferite dai 20-40enni, vede al primo posto la Germania (con 3.359 emigrati), al secondo posto il Regno Unito (con 3.366 emigrati) al terzo la Svizzera (con 3.118 emigrati) seguita da Francia e Spagna.
Per quanto concerne i Paesi extraeuropei primeggiano gli Stati Uniti seguiti da Argentina, Brasile, Australia e Canada.
Ma assodato il fatto che è in corso un esodo dal nostro Paese, quali sono le ragioni di questo fenomeno?
Siamo convinti che i motivi principali che spingono le persone a emigrare sono i medesimi della precedente ondata migratoria.
Dopo un decennio di stagnazione economica sfociato in un periodo di vera e propria crisi, il nostro Paese ha decisamente perso l’appeal che, seppur modestamente, aveva negli anni pre-euro.
StudenteA queste condizioni, parzialmente indipendenti dalla nostra volontà, si sono sovrapposti antichi problemi tipicamente italiani.
Un vero e proprio immobilismo del mercato del lavoro, un forte nepotismo e il clientelismo, hanno convinto le giovani generazioni che il nostro Paese non potrà offrire nessuna opportunità, nemmeno ai più meritevoli.
A testimonianza di ciò, chi oggi è costretto a cercar fortuna fuori dai patri confini non è più l’operaio o il contadino del secolo scorso, bensì i neo-laureati, i ricercatori e i giovani professionisti, ovvero le forze lavoro più istruite e le intelligenze più qualificate.
Un’intera generazione è stata volontariamente o involontariamente sacrificata a vantaggio del benessere conquistato dalle generazioni precedenti.
L’allungamento degli anni di lavoro pre-pensionamento e il contestuale aumento dei cittadini già pensionati ha sbilanciato il welfare sociale condannando, di fatto, i giovani a cercarsi il lavoro altrove e a pagare i contributi dei fondi pensionistici di cui non potranno godere perché già spesi per i pensionati di oggi.

L’aver costretto molti cittadini a prolungare la propria permanenza nel mercato del lavoro non ha permesso il naturale turn-over tra vecchi e giovani lavoratori costringendo questi ultimi a prolungare la propria permanenza nel nucleo famigliare d’origine (secondo Istat il 30% degli italiani tra i 30 e i 34 anni vive ancora con i genitori) e a patire l’angoscia della continua e infruttuosa ricerca del posto di lavoro (un giovane su cinque tra i 15 e i 29 anni ha abbandonato gli studi e non lavora).
Presto bisognerà modificare la politica economica e sociale del nostro Paese per interrompere questa tendenza.
Di Claudio Bosaia

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