sabato 29 marzo 2014

Miraggi nel deserto quantistico

Un articolo pubblicato su Monthly Notices, analizzando l’equazione di stato dell’energia oscura, suggerisce che la sua vera natura sia una forma dinamica dell'energia del vuoto quantistico, variabile nel tempo. Compatibile con i risultati di BICEP-2? Media INAF lo ha chiesto ai due autori
Il satellite Planck dell'Agenzia spaziale europea crediti: ESA)

Il satellite Planck dell’Agenzia spaziale europea (crediti: ESA)
È una stagione eccitante, questa, per chi si occupa di grandi questioni cosmologiche. Basta scorrere i titoli che, quotidianamente, s’avvicendando su astro-ph.co (la sezione di arXiv dedicata alla cosmologia) per rendersi conto dei dubbi e del subbuglio provocato fra gli scienziati dai risultati di BICEP-2. E della varietà di termini esotici utilizzati. Prendiamone due fra i più in voga: quintessenza ed energia fantasma. Sembrerebbero usciti da un manuale alchemico, o da un bestiario d’altri tempi. Nulla di più sbagliato: i teorici del big bang li usano con disarmante disinvoltura per descrivere diverse ipotesi sulla natura dell’energia oscura, a fianco d’espressioni altrettanto lontane dal senso comune quali costante cosmologica ed energia del vuoto.

Quale sarà l’ipotesi corretta? Un articolo pubblicato da poco su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, oltre a illustrare le conclusioni dei due autori, ci offre l’occasione per addentrarci in questo groviglio di definizioni e assaggiare la complessità della cosmologia contemporanea.
Partiamo dalle conclusioni. Cos’hanno dedotto i due autori, Spyros Basilakos e Joan Solà (dall’università di Atene il primo e da quella di Barcellona il secondo), analizzando l’equazione di stato dell’energia oscure a fronte dei dati raccolti dalle missioni spaziali WMAP e Planck? «L’energia oscura, secondo noi, non è né quintessenza né energia fantasma. Ciò che diciamo, nel nostro articolo, è che siamo di fronte a una sorta di miraggio: ha le sembianze della quintessenza, o dell’energia fantasma, ma in realtà», dice Joan Solà a Media INAF, «è energia del vuoto dinamica. Dinamica nel senso che varia nel tempo, a differenza di quanto ipotizzato dal vecchio modello della costante cosmologica».
La quintessenza alla quale si riferiscono i due cosmologi è una forza di gravità al contrario: invece di attrarre respinge. Dunque una forza fondamentale – sarebbe la quinta, nomen omenche sembrerebbe cascare a proposito per spiegare l’espansione accelerata del nostro universo. E di conseguenza la natura dell’energia oscura, comunemente additata come responsabile di quest’accelerazione.
Ma se il problema è spiegare l’accelerazione, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. Supponiamo, per dire, che esista una forma d’energia – o meglio, un campo – la cui densità aumenta con il passare del tempo. Ed ecco che abbiamo quell’entità felicemente battezzata energia fantasma: una super energia oscura con w, un parametro dell’equazione di stato, inferiore a -1. Ovvero in grado di produrre un’accelerazione addirittura esponenziale, tale da condannare il nostro povero universo a un destino lacerante: il big rip, o grande strappo.
Troppo doloroso per i vostri gusti? Proviamo allora con una terza ipotesi, quella caldeggiata da Basilakos e Solà: l’energia oscura come energia del vuoto quantistico dinamica, che variando nel tempo mimerebbe – ingannando i cosmologi – il comportamento della quintessenza o dell’energia fantasma. Ma variabile come? Aumenta o cala? «Può aumentare o calare: al momento non è possibile dare una risposta», ammette Solà. «Alcuni modelli sarebbero in accordo con un valore dell’energia oscura che diminuisce leggermente nel tempo, ma il livello di precisione raggiunto dalle misure attuali non è ancora sufficiente a permetterci di distinguere fra le due possibilità».
Occorre sottolineare che l’articolo di Basilakos e Solà è uscito a febbraio, dunque poche settimane prima dell’annuncio giunto da Harvard sui risultati di BICEP-2 circa gli istanti immediatamente successivi al big bang. Risultati compatibili con le ipotesi di questo studio, o che potrebbero inficiarle? «Stiamo per pubblicare un articolo nel quale mettiamo a confronto il nostro modello con i dati di BICEP-2, ma posso già dire che otteniamo un valore di r compatibile, entro un sigma, con quello da loro misurato», anticipa Basilakos a Media INAF, riferendosi a quell’oramai mitico tensor-to-scalar ratio che misura l’ampiezza delle onde gravitazionali primordiali.
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