Negli
anni cinquanta del Novecento il fisico David Bohm propose
un'affascinante interpretazione olistica della meccanica quantistica,
che faceva da contraltare alla visione ortodossa, la cosiddetta
Interpretazione di Copenhagen. Basil Hiley, assistente e collaboratore
di Bohm, racconta perché non si può fare a meno di confrontarsi con
questa teoria
di George Musser
Una notte del 1952 – come racconta Louisa Gilder nel suo brillante volume sulla storia della meccanica quantistica
– Richard Feynman e David Bohm stavano girando per i bar di Belo
Horizonte, in Brasile. Feynman era a Rio per un anno sabbatico e,
esuberante come sempre, commentava entusiasta le birre locali, le
lezioni di batteria che stava prendendo e le ragazze brasiliane. Bohm,
che insegnava all'Università di San Paolo, invece non si adattò mai al
Brasile. La caccia alle streghe maccartista l'aveva appena buttato fuori
dalla Princeton University e dagli Stati Uniti. Si sentiva in esilio
non solo dal suo paese, ma dalla fisica che contava. Bohm si rianimò
solo quando Feynman espresse interesse per il suo originale modo di
concepire la meccanica quantistica.Bohm aveva sviluppato la prima alternativa globale alla “ortodossia” quantistica, nota come Interpretazione di Copenaghen. Basandosi sul precedente lavoro di Einstein e de Broglie, Bohm aveva dimostrato che non è necessario concepire la casualità quantistica come intrinseca alla natura per compiere una riflessione sul nostro modo indagare il mondo microscopico. Nella formulazione originaria di Bohm, le particelle hanno sempre posizioni ben definite e sono spinte da un “potenziale quantistico”, simile, nelle sue linee generali, alle forze elettriche e gravitazionali. Poiché questo potenziale opera istantaneamente, collegando tra loro tutti gli elementi dell'universo, anche quando sono a grande distanza, Bohm arrivò poi a concepire la fisica quantistica come un'apparizione fenomenica superficiale di una realtà olistica più profonda.
I fisici tendono a non gradire la teoria di Bohm, per ragioni sia sociologiche sia scientifiche, ma per lo meno essa ruppe l'incantesimo di Copenhagen. Léon Rosenfeld, partigiano particolarmente pugnace dell'interpretazione di Copenhagen, lo attaccò e tramò nell'ombra perché le riviste rifiutassero i suoi lavori, come se cercasse di completare l'opera iniziata dai maccartisti. Eppure fu il lavoro di Bohm a spingere il fisico irlandese John Bell a rivoluzionare il modo di pensare alla fisica quantistica negli anni sessanta.
Qualche settimana fa, ho incontrato Basil Hiley, a lungo collaboratore di Bohm e co-autore del suo ultimo libro, The Undivided Universe. Hiley è un fisico teorico del Birkbeck College dell'Università di Londra, dove Bohm finì quando non riuscì più a sopportare il cibo brasiliano. Come il suo defunto maestro, ha un modo non convenzionale di pensare la fisica, al punto che sinceramente non sono riuscito a capire molto di ciò che mi ha detto. In questo scritto, mi sono preso la libertà di spostare interi blocchi di testo, omettendo i passaggi matematici più tecnici, per cercare di dare un senso complessivo al tutto. Se ho risvegliato il vostro interesse, un buon punto di partenza è la pagina di Wikipedia su Hiley. Se non altro, la teoria di Bohm è un buon argomento per fare due chiacchiere con una birra in mano.
GM: Quando incontrò David e come iniziò la vostra collaborazione?
BH: Stavo finendo il mio dottorato di ricerca, che aveva come argomento la fisica dello stato solido. Avevo un paio di articoli pubblicati ma non avevo ancora finito la tesi e mi è stato guardando in giro, chiedendomi che cosa avrei fatto alla fine dell'estate. Non conoscevo David Bohm, non avevo letto i suoi lavori. In quel momento, stava tenendo due seminari e quando lo sentii parlare pensai: “Wow, questo è quello che avrei voluto studiare all'università”.
Sono sempre stato molto interessato alla meccanica quantistica e alla relatività, anche ai tempi della scuola. Arrivato all'università, speravo che sarei stato in grado di discutere quelle idee. Ma mi sentivo dire: “Non devi perdere tempo a pensare a queste cose”. Era una situazione veramente molto frustrante. Dopo la laurea, organizzai alcuni seminari informali tra studenti post-laurea, e mi convocarono per chiedermi che cosa stessi facendo. Una cosa pazzesca.
E poi arrivò David, con tutte le sue interessanti idee, a sostenere che la meccanica quantistica era un buon vino che stavamo mettendo in vecchie bottiglie. L'idea era di fare nuove bottiglie, in modo che il vino desse il suo meglio. Ma non è affatto facile riflettere profondamente sulla natura della realtà.
GM: Che cosa facevi in quel periodo?
BH: Quando diventai suo assistente al Dipartimento di matematica c'era Roger Penrose e poi c'eravamo io e Bohm. Studiavamo le algebre, la relatività generale, il pre-spazio. Quest'ultimo è un concetto simile a quello di pre-geometria, ma David e io non volevamo dare l'impressione che stessimo pensando allo stesso modo di John Wheeler.
Penrose formulò la teoria dei twistor (o dei torsori) e delle reti di spin. Entrambi risolvevano il problema di come costruire lo spazio-tempo a partire da oggetti fisici. Ha avuto alcune idee belle con i twistor. Voleva concepire uno spazio in cui non c'erano punti: il fondamento era costituito dai raggi di luce, mentre i punti erano definiti come le intersezioni dei raggi di luce.
Il mio contributo ai twistor si limitò al nome... Penrose una volta venne nel mio studio, parlando della sua idea. “Sono indeciso se chiamarli twister o twistor”, disse. E io risposi: “Twistor”.
GM: “Twister” è un nome da gioco di società, “twistor” dà l'idea di un concetto complesso
BH: [ Ride] In ogni caso, questo mi iniziò allo studio delle diverse algebre. Io venivo dalla fisica dello stato solido, e avevo lavorato molto sui reticoli. Lo spazio-tempo non potrebbe essere strutturato come un reticolo, a una scala molto piccola? Considerate le dislocazioni a spigolo distribuite in un cristallo: si tratta di una geometria riemanniana. Così feci un sacco di queste cose, studiando la possibilità che lo spazio possa avere una struttura discreta (una dislocazione a spigolo è un difetto all'interno di un reticolo in cui uno strato di atomi aggiuntivo, introdotto nel cristallo, deforma gli strati vicini, NdT).
GM: Quindi, per i primi 10 anni, cioè per tutti gli anni sessanta, non ha nemmeno sfiorato un'onda pilota... (l'idea su cui si basa l'interpretazione della maccanica quantistica di Bohm, NdT)
BH: Avrei potuto occuparmene ma non lo feci, semplicemente perché non avevo letto l'articolo di Bohm! E se mi chiedevano perché, rispondevo: “Perché non l'ho letto? Perché è sbagliato”. Avevo assorbito il pregiudizio che la teoria delle variabili nascoste era spazzatura (la teoria delle variabili nascoste sostiene che la meccanica quantistica offre una descrizione incompleta della realtà, NdT). Non solo: avevo la strana sensazione che se avessi letto l'articolo ne sarei rimasto in qualche modo infettato. Ora, guardando indietro, posso dire che era straordinario.
Quando finalmente lo lessi, rimasi stupito, perché utilizzava solo matematica standard. Tirava fuori il concetto di potenziale quantistico e di traiettorie. Allora dissi a uno studente, “Proviamo a calcolare le traiettorie”. Ed è così che Chris Philippidis e Chris Dewdney iniziarono il loro lavoro, calcolando i potenziali quantistici per il problema delle due fenditure e per la particella in una buca di potenziale (due situazioni esemplari che solo la meccanica quantistica riesce a trattare correttamente, NdT). Ed è così che la teoria ha iniziato a crescere. Quando la mostravamo ad altri, ci dicevano: “Sì ok, ma non si può fare così e così”. Ce ne andavamo e cercavamo un metodo per fare così e così. Tornavamo a confrontarci e ci dicevano: “Ma non si può fare...” Tutto quello che ho fatto per anni è stato chiedere a questi ragazzi di svolgere i calcoli per dimostrare che potevamo fare tutte quelle cose.
Pertanto, il mio problema era: cosa c'è che non va? Funziona. Se le particelle seguono effettivamente traiettorie o no, non lo so. Ma ci sono le formule, basta applicarle.
GM: E queste hanno iniziato a interessare David?
BH: Sì, David riprese a interessarsi alla cosa. Abbandonammo gli aspetti più speculativi ed esoterici, come il pre-spazio, che rimase sullo sfondo. Ma poi vi siamo arivati sempre più vicini. David era molto eccitato; quando mostrammo le traiettorie, disse "Oh, possiamo ricavarle dalla teoria?”
Dal mio punto di vista, e anche da quello di David, questo era solo una sorta di comportamento medio, frutto di un processo più profondo sottostante. Ed è quello che cercavamo di capire. Ma non siamo andati molto lontano, temo. Sai, è una cosa difficile. Abbiamo messo alla prova un sacco di idee diverse, e nessuna sembra davvero funzionare. Manca ancora qualcosa.
GM: Parlami delle idee che avete elaborato.
BH: Eravamo interessati a un concetto di “tutto indiviso”. Come si fa a descrivere l'interezza senza romperla in pezzi? Bohr diceva che non è possibile procedere oltre con l'analisi: non si può fare una distinzione tra il soggetto e l'apparato di osservazione, perché formano un tutt'uno, e appena si divide in pezzi hai fallito, perché hai influenzato il fenomeno. Ho fatto mie un sacco di idee profonde di Bohr. Chi legge il nostro libro, vede che non diciamo mai che Bohr sbagliava, considerando che molti altri dicono che l'interpretazione di Copenhagen è una sciocchezza. Il punto su cui eravamo in disaccordo con Bohr è che l'analisi non possa procedere oltre, e per questo siamo andati avanti. La nostra idea era dire: “Si può fare”. Si può parlare dei singoli elementi, ma è il potenziale quantistico che mette in primo piano ciò che era stato lasciato fuori, perché contiene l'informazione sulle condizioni ambientali, le condizioni al contorno, e la immette in questa entità locale, che così è parte del tutto.
Come questo avviene, non è dato saperlo. Ma ciò che David e io abbiamo ipotizzato è che il potenziale quantistico sia in realtà un potenziale d'informazione, e per questo abbiamo introdotto il concetto di “informazione attiva”. Ero molto preoccupato per l'uso della parola “informazione” perché chiunque avrebbe pensato immediatamente all'informazione di Shannon (Claude Shannon è uno dei padri della moderna teoria dell'informazione, che definisce le basi teoriche dell'informatica, NdT). L'informazione di Shannon non è informazione, è solo capacità di informazione, separata dal significato. Il punto cruciale è stato quello d'introdurre un significato, ciò che per la particella è l'informazione.
Poi, naturalmente, tutti pensarono che ci fossimo dati al misticismo. Ma ciò che voglio ribadire è che il potenziale quantistico non è una forza classica. Non è un potenziale classico. È qualcosa di straordinario, di molto strano. Non viene propagato, per quanto possiamo sapere. Ma quello era il mio modo di riconciliare interezza e divisibilità. Se dividiamo, dobbiamo avere qualcosa per mettere tutto di nuovo insieme.
GM: Suona ironico che Bohr e alcuni suoi colleghi reagissero con veemenza contro la teoria di Bohm.
BH: Sì, ma non dimentichiamo che se si guarda alla teoria di Bohm nella sua forma più semplice, non si vede nulla di tutto questo. Ora ti sto parlando della teoria di Bohm alla luce di questi concetti più profondi. A lezione, avevo l'abitudine di spiegare la teoria di Bohm, perché non si può ignorare, che piaccia o no. Ma poi la gente credeva che ciò rispecchiasse il mio concetto della natura. E non è ciò che spingeva David e me a continuare le ricerche. Si tratta di livelli di astrazione diversi.
Concludendo, io non sono un seguace di Bohm, nel senso che non sostengo la meccanica di Bohm. Chris Fuchs una volta venne da me dopo una conferenza e mi disse: “E' bello conoscere un bohmiano”. “Prego?”, risposi. “Io non sono bohmiano: non stiamo parlando di meccanica. Nel suo libro sulla teoria quantistica, quello originale, Bohm dice che meccanica quantistica è un termine improprio. Si dovrebbe parlare invece di non-meccanica quantistica”.
GM: Nel senso che non si dovrebbe pensare in termini di un moto meccanicistico delle particelle?
BH: Sì, non è niente di simile. Non si tratta di meccanicismo, ma di organicismo. La natura è più organica di quanto pensiamo. Solo allora si può capire perché la vita ha avuto origine: solo se la natura è organica, in essa vi è la possibilità di una vita.
Seguimi in questo ragionamento. Stiamo cercando una particella fondamentale. Così dividiamo la materia in atomi, e pensiamo: ecco dove si trova la vera essenza della natura. Rutherford spaccò l'atomo e trovò il nucleo. OK. Il nucleo è dove risiede la materia. Poi si guarda all'interno del nucleo e si trovano i neutroni. OK, ora ci siamo! Ma poi troviamo i quark, ma i quark non si lasciano afferrare. Prendiamo un protone, un anti-protone, li facciamo collidere e... puf! Compare la radiazione. Allora, dove è la solidità della materia? Dove si trova? Perché comunque cerchiamo di afferrarla...
GM: ...ci sfugge tra le dita.
BH: OK, supponiamo di iniziare con qualcosa di diverso dalle particelle, parliamo di processi, solo attività, solo energia. Allora la prima obiezione è: “Ma che cosa diavolo intendi?” Se leggi Grassmann, per esempio, lui diceva che la matematica non riguarda cose nello spazio e nel tempo, ma il pensiero, l'ordine del pensiero. E ha ottenuto l'algebra che porta il suo nome da questo tipo di considerazioni. Io ho letto i libri e gli articoli originali di Clifford, ed è tutto basato sui processi. Due per tre fa sei, e non vuol dire “due volte tre oggetti”, ma si tratta del raddoppio di tre oggetti. Ecco un processo.
GM: Come entra questo nella meccanica quantistica?
BH: Tramite la non-commutatività. Anche nella vita quotidiana, dobbiamo sempre stare attenti all'ordine. Hai una tazza nell'armadio. Devi aprire la porta dell'armadio prima di tirare fuori la tazza. Tutta la nostra esperienza consiste nel fare le cose nel giusto ordine: per questo, tutta la nostra attività è non-commutativa. Cercando di spiegare i livelli energetici degli atomi, Heisenberg ha scoperto che aveva a che fare con oggetti che non commutano tra loro. L'ordine è di vitale importanza: c'è una differenza tra misurare prima la quantità di moto e quindi la posizione, oppure prima la posizione e poi la quantità di moto. Questa è la base del suo principio d'indeterminazione.
La mia impressione è che lui stesse in realtà discutendo un processo. Parlava di come una cosa potesse essere trasmessa da un corpo all'altro, introducendo il concetto di transizione della quantità di moto, e di spostamento da una posizione all'altra. In altre parole, non si parla di x e p, p e x, ma di passaggi da x0 a x1, da p1 a p2, e così via. La sua scoperta essenziale è il “gruppoide”, un concetto ancora utilizzato nella teoria delle categorie. E serve per parlare in termini di processi.
GM: Che cosa c'entra tutto questo con la teoria della relatività?
BH: Pensiamo all'idea che lo spazio e il tempo vengono creati. Qualcuno obietta: "Beh, che cosa intendi dicendo che stiamo creando lo spazio e il tempo? Il mondo è intorno a noi, non c'è una geometria che in qualche modo scopriamo semplicemente guardandola. In realtà, utilizziamo processi fisici per descrivere questa geometria. Come otteniamo la geometria dello spazio? Con un apparato radar e un orologio. Trasmettiamo un segnale luminoso, lo facciamo tornare indietro, e costruiamo la trasformazione di Lorentz sulla base di ciò che sta succedendo.
La maggior parte delle persone dice che non si può conciliare la relatività con la teoria di Bohm. Questo non è corretto. Quattro anni fa, sono riuscito a conciliare l'equazione di Dirac e la teoria di Bohm. La chiave è l'utilizzo dell'algebra di Clifford.
GM: Ma non è strano che la natura possa essere fatta in modo da poterne astrarre un concetto di spazio? Sembra che sia implicito un ordine di grado elevato...
BH: Sì, è come ipotizzare che la natura sia ordinata.
GM: Sono sempre stato perplesso di fronte all'uso dei termini “ordine implicito” “ordine esplicito”: potresti andare oltre?
BH: Perché dovremmo aspettarci che i fondamenti della natura sono gli stessi che sperimentiamo nel mondo macroscopico? Questo è per dire, no, il mondo reale non è. Se si guarda al fondo, ci si accorge che si tratta di un miraggio, in un certo senso. L'ordine implicito, la struttura profonda, è l'algebra. Le proprietà sono date in un tutto, ma le stiamo tirando fuori, evidenziando l'ordine esplicito.
GM: Quindi ciò che percepiamo è l'ordine esplicitato?
BH: Sì, è ciò che percepiamo. E non è tutto. Cio che la vecchia fisica classica dice è che vogliamo “stare fuori”, e guardare ogni cosa, come Dio, come se non fossimo lì. Ma non possiamo. Siamo lì, che ci piaccia o meno. Siamo dentro guardando fuori, non fuori guardando dentro. Ciò che è implicito non si può spiegare, ma è necessario avere diversi punti di vista, proprio perché siamo “dentro”. Non si può stare al di fuori, si può avere solo una visione parziale.
Quando tengo una conferenza su questo argomento, uso sempre quella classica illusione in cui si può vedere sia una elegante signorina sia una donna anziana. Le linee del disegno sono sempre le stesse, ma il loro significato dipende da come viene esplicitato un ordine rispetto all'altro. Perché un sacco di cose si basano su cose che non si possono spiegare nello stesso momento. La natura è tale che non si può effettivamente esplicitare posizione e quantità di moto allo stesso tempo.
Così invece di avere solo una traiettoria, si ha un processo che si sviluppa e si avviluppa. Il passato lavora attivamente nel presente. Si riverbera nel presente per produrre il futuro. Ciò che appare come una particella che passa, non è una particella che passa, ma solo una spiegazione.
GM: Non dovrei pensare a questa particella come un'entità che si sposta attraverso il vuoto?
BH: No, hai pensato all'entità come a una palla da biliardo. Le sue proprietà non sono indipendenti dal processo sottostante. Se cambi il processo sottostante, cambiano le proprietà di questa cosa. Non si possono trattare come cose separate, perché le sue proprietà dipendono dall'ambiente. Stai tirando fuori oggetti da cose che si trasformano continuamente, ma sempre in se stesse. Ci vuole un po' di tempo per abituarsi!
GM: In un certo senso, creiamo quella particella?
BH: Questa è una domanda molto interessante. Creiamo ciò che vediamo? Forse sì. So che la gente dice: “Beh, è tutto soggettivo”. Ma ci sono solo alcune cose che puoi fare. Non è possibile fare magie, ma solo riordinare le cose. È possibile riorganizzare le cose quando si sta costruendo la realtà. Stiamo riorganizzando i processi. Noi siamo parte del processo.
(La versione originale di questo articolo è apparsa su scentificamerican.com il 4 novembre. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)
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