Questo giugno 2014 è stato il mese con il maggior numero di visualizzazioni del blog (circa 6.300). Grazie di cuore a tutti :)
"Per sapere chi sei, devi prima sapere chi non sei, prosciugherai così il mare dell'illusione e troverai la vera essenza del Sé nel vento, nessun desiderio e paura ma Amore incondizionato."
lunedì 30 giugno 2014
Centro Recupero Animali Selvatici (CRAS) in Friuli Venezia Giulia
Ieri mi sono imbattuto in un volatile (una ghiandaia) con un'ala mal messa e non era in grado di volare. Spinta in un primo momento in un garage l'ho messa poi in una scatola di cartone. Sono stato un bel po' per trovare un numero di telefono per trovare qualcuno in grado di prestare soccorso all'uccello. Ecco i contatti del Friuli V. Giulia nel caso dovreste trovarvi a che fare con un animale selvatico ferito o in difficoltà:
Viale Miramare
349, 34014 Grignano (TS)
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040/ 224147
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Via Marchesetti
10/4, Trieste
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dalle 17 alle 20, lun-sab: 040/910600; dalle 14 alle 20, lun-sab: 339/1996881; 333/1775353; dalle 8 alle 14: 040/37981
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Via Due
Fiumi 12, San Canzian di Isonzo, loc. Terranova (Gorizia)
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Damiano Baradel 0481/711574; 0481/486876
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Via Borgo
di Uviel 42/a, 33080 Frisanco (PN)
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Loredana Beltrame 0427/78005
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Via Rigolo
47, 33084 Cordenons (PN)
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Alfredo Milan: 0434/899411 o 340/6018606; BIRD SERVICE: 0434/898849; Franco Milan: 347/2769992; Lorena Pagnucco: 347/2769993
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Centro Recupero
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Via San
Daniele 11, Campoformido (UD)
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Maurizio Zuliani 0432/663503
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Centro di Recupero Isola della Cona | c/o Isola della Cona, 34079 Staranzano (GO) | 348/4462257 |
Centro Recupero Rapaci di Andreis | c/o Parco Naturale Dolomiti Friulane, Via Roma 4, 33080 Cimolais (PN) | 0427/87333 |
Centro Recupero ungulati
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Via Romana 35, Tarvisio (UD)
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domenica 29 giugno 2014
L’isola di Palmerston, un paradiso lontano dal mondo
L’isola di Palmerston, la più lontana e isolata del mondo!
Giusto l’altro giorno vi abbiamo illustrato otto isole deserte (o quasi)
nelle quali è possibile passare una tranquilla e rilassante vacanza
all’insegna del relax, adatte anche a chi possiede un forte spirito
avventuriero ed esplorativo.
Perchè sì, bisogna ammetterlo, un po’
tutti abbiamo desiderato almeno una volta staccare da tutto e tutto per
andarsi a “rifugiare” in un’isola deserta, dove pace e tranquillità la
fanno da padrone, un posto in mezzo al nulla, isolato dal mondo.
E una realtà del genere esiste davvero.
Si chiama Palmerston ed è un atollo appartenente all’arcipelago delle Isole Cook, localizzata a 500 km da Rarotonga. Un’isola che, possiamo dirlo, è ubicata in uno dei luoghi più remoti e sperduti del mondo.
L’arcipelago delle isole di Cook (la cui difesa è gestita dalla Nuova Zelanda) è costituito da 15 piccole isole nell’oceano Pacifico meridionale (Polinesia) con una superficie complessiva di 240 km2 e una popolazione di circa di 18.000 abitanti.
L’isola di Palmerston è costituita da
una serie di isolotti di sabbia legati l’uno all’altro dalla barriera
corallina che crea una laguna sul versante interno.
E’ stata scoperta nel 1774 dal capitano Cook
(da cui le isole prendono il nome appunto), ma si è atterrati
sull’isola qualche tempo più tardi, con precisione il 13 Aprile del
1777.
Cook la trovò completamente isolata, disabitata, anche se furono scoperte alcune tombe antiche.
Nel 1863, poi, William Marsters,
carpentiere di una nave, approdò sull’isola con due mogli polinesiane,
alla quale ne aggiunse poi una terza. E con loro, Marsters generò una grande famiglia di circa 23 bambini, i cui discendenti oggi abitano sull’isola.
Nel 1954, poi, alla famiglia è stata concessa la piena proprietà dell’isola.
La popolazione odierna dell’isola è costituita da appena 62 abitanti.
Tre rami della famiglia Marsters rimangono ancora oggi a Palmerston:
ognuno di questi discende da una delle tre mogli di William, ma il
matrimonio all’interno di un gruppo familiare è vietato.
Palmerston Island, inoltre, è l’unica isola nelle Isole Cook per i quali l’inglese è la lingua madre.
Ma cosa possiamo trovare sull’isola di Palmerston?
Un vero e proprio paradiso tropicale
terrestre, uno scenario estasiante per i nostri occhi, fatto di un mare
limpido e cristallino, spiagge bianche, alberi, palme e capanne.
Insomma, quando ci capita di immaginare un’isola deserta nella nostra
mente ci appaiono immagini facilmente riconducili, seppur
inconsciamente, all’isola di Palmerston.
Nonostante ciò, come prevedibile, si
tratta di un luogo lontano dai classici comfort a cui siamo generalmente
abituati: è possibile trovare appena due toilette su tutta l’isola mentre l’acqua che viene bevuta è quella piovana.
L’energia elettrica e altre utilità moderne sono disponibili sull’isola, anche se per poche ore al giorno.
Di recente, inoltre, è stata costruita una stazione telefonica, unico collegamento permanente con il mondo esterno.
La barriera corallina è abitata da molluschi e pesci, anche se le specie sono a rischio a causa della pesca eccessiva. Da ammirare anche le numerose tartarughe marine e la moltitudine di uccelli rari.
L’economia non è molto ricca perchè
l’estrema lontananza dell’isola produce un mercato difficile da
mantenere. Il denaro, dunque, viene utilizzato per acquistare beni fuori
dall’isola.
La comunità di Palmerston è molto
tranquilla ed ospitale, e conduce una vita molto semplice, lontana dalla
frenesia e dai ritmi incalzanti a cui siamo ormai abituati a vivere.
Lì, infatti, la vita sociale si svolge attorno alla chiesa e alla
preparazione di cibi e pasti da consumare insieme.
Com’è possibile raggiungere l’isola di Palmerston?
L’isola non è disposta di un aeroporto e non è possibile raggiungerla nemmeno con l’idrovolante,
questo perchè per questi mezzi non sarebbe possibile atterrare nè in
laguna, per via di una barriera corallina troppo vicina alla superficie
dell’acqua, né in mare aperto, a causa delle condizioni perennemente
agitate dell’oceano.
L’unico mezzo con cui l’isola può essere raggiunta è la barca, ma si tratta di ore di viaggio e bisogna sempre tenere in considerazione le condizioni dell’oceano. Le navi da carico, inoltre, vi si recano un paio di volte l’anno per le provviste e i rifornimenti.
Cosa dite: abbiamo stuzzicato la vostra voglia di partire?
sabato 28 giugno 2014
L’entropia quantistica nella teoria di Bohm
L’entropia quantistica introduce l’importante prospettiva di un background unitario in cui rileggere gravitazione e comportamento quantistico della materia
Davide Fiscaletti - 26/06/2014
La meccanica quantistica è forse la teoria fisica del Ventesimo secolo che ha determinato i cambiamenti più profondi nell’immagine del mondo. Secondo l’interpretazione di Copenaghen – la versione della meccanica quantistica quale è stata formulata dai suoi fondatori (Bohr, Heisenberg, Born, ecc…) – nello studio dei processi atomici e subatomici è necessario abbandonare due concetti essenziali della fisica classica, vale a dire il principio di causalità e il dogma della descrizione dei sistemi fisici in termini di moto nello spazio-tempo. L’interpretazione di Copenaghen, benché sia pienamente funzionante dal punto di vista delle predizioni empiriche, non sembra scevra da contraddizioni interne. In sintesi, molti autori non trovano soddisfacente: il ricorso a due diverse categorie di leggi (da un lato, l’equazione di Schrödinger e, dall’altro lato, il postulato del collasso della funzione d’onda) riguardo alle modalità di evoluzione di un sistema fisico a seconda che sia soggetto ad osservazione o no; che, in virtù della validità illimitata del principio di sovrapposizione, esistono sovrapposizioni di stati macroscopicamente distinguibili del tipo gatto vivo-gatto morto secondo l’antica esemplificazione di Schrödinger; che non può essere definito in modo preciso e non ambiguo un confine tra il mondo microscopico (governato dal principio di sovrapposizione) e il mondo macroscopico (in cui abbiamo percezioni ben definite riguardo alle proprietà dei sistemi fisici). Il fallimento della meccanica quantistica ortodossa nell'offrire una soluzione coerente a queste questioni è la ragione per cui la teoria quantistica è continuamente rimasta così ambigua ed oscura.
Sulla base di queste considerazioni, dalla nascita della teoria quantistica famosi fisici come Einstein, Planck, Schrödinger, de Broglie non hanno accettato l’interpretazione di Copenaghen e hanno cercato di trovare interpretazioni alternative. La teoria di de Broglie-Bohm – originariamente proposta da de Bolgie nel 1927 a sistemi ad un corpo e poi estesa da David Bohm nel 1952 alla trattazione di sistemi di molti corpi – riesce a risolvere le perplessità sopra illustrate nel modo più semplice. La prospettiva essenziale introdotta dalla teoria di Bohm è che la meccanica quantistica è, fondamentalmente, una teoria che si occupa del moto di particelle e che la descrizione di un sistema fisico è specificata, oltre che dalla sua funzione d’onda, dalla sua configurazione, vale a dire dalle posizioni di tutte le particelle del sistema a ciascun istante. Ne deriva così una teoria quantistica deterministica delle traiettorie delle particelle: una teoria, predittivamente equivalente alla meccanica quantistica standard, che permette di fornire un completamento causale alla meccanica quantistica e di spiegare il comportamento quantistico della materia rimanendo fedele al principio di causalità e al dogma spazio-temporale del moto. Lo scopo di questo articolo è di analizzare una particolare rilettura della teoria di Bohm – sviluppata recentemente dall’autore – in cui una grandezza fisica chiamata appropriatamente entropia quantistica può essere considerata l’entità fisica fondamentale.
Il potenziale quantico di Bohm e la sua informazione geometrodinamica
Negli anni '50 David Bohm, riscoprendo un approccio originariamente introdotto da Louis de Broglie al congresso Solvay del 1927, mostrò che, se interpretiamo ciascun sistema fisico individuale come composto da un corpuscolo e da un’onda che lo guida, il movimento del corpuscolo sotto la guida dell’onda avviene in accordo ad una legge che ha la forma della seconda legge di Newton della meccanica classica, con la differenza che qui la particella è soggetta, oltre che ad una forza classica, anche ad una forza quantistica, legata ad una forma di energia chiamata potenziale quantico.
In virtù delle caratteristiche del potenziale quantico, le equazioni fondamentali della teoria di Bohm non implicano una trattazione classica dei processi quantistici. Il potenziale quantico non opera come i campi elettromagnetici classici, ma agisce in maniera istantanea e solo come pura "forma". L’espressione matematica del potenziale quantico indica che l’azione di questo potenziale è di tipo spazio, vale a dire crea sulle particelle un’azione non-locale, istantanea, proprio quella richiesta per comprendere i processi di tipo EPR (paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen). Così, nell’approccio di Bohm la non-località non risulta essere un “ospite inatteso”, come invece si verifica nell’interpretazione standard: il potenziale quantico informa ogni particella dove andare, come se dietro alla realtà fenomenica spazio-temporale fatta di materia ed energia, esistesse un piano nascosto che la guida e la unisce a tutte le altre particelle in un’unica simbiosi cosmica.
Il potenziale quantico contiene un’informazione globale sui processi fisici, che può essere definita come “informazione attiva”, ossia un’informazione contestuale al sistema sotto osservazione ed al suo ambiente. L’informazione del potenziale quantico non è “esterna” allo spazio-tempo, ma piuttosto va considerata come un tipo di informazione geometrica “intessuta” nello spazio-tempo stesso. È così possibile interpretare il potenziale quantico come un’entità geometrodinamica (Fiscaletti, 2012). Il potenziale quantico ha una natura geometrica in quanto contiene un’informazione contestuale, globale riguardo all’ambiente un cui l’esperimento viene effettuato; e allo stesso tempo è un’entità dinamica in quanto la sua informazione riguardo al processo e all’ambiente è attiva e determina il comportamento delle particelle. Parafrasando la famosa espressione di J. A. Wheeler sulla relatività generale, possiamo dire che l’evoluzione dello stato di un sistema quantistico modifica l’informazione attiva globale e questa influisce a sua volta sullo stato del sistema quantistico ridisegnando la geometria non-locale dell’universo. In questo quadro geometrodinamico possiamo anche dire che il potenziale quantico rappresenta le proprietà geometriche dello spazio dalle quali la forza quantistica, e quindi il comportamento delle particelle quantistiche, derivano.
Geometrie della non-località
La geometria sottesa al potenziale quantico è stata esplorata da diversi autori (vedi per esempio, Carroll, 2006). Un risultato recente molto interessante è quello dei fisici iraniani F. Shojai e A. Shojai (2004), che hanno studiato il comportamento di particelle a spin 0 in uno spazio-tempo curvo, mostrando che il potenziale quantico dà un contributo alla curvatura che si aggiunge a quello classico e che rivela profonde e inaspettate connessioni tra la gravità e i fenomeni quantistici. Nel modello di F. Shojai e A. Shojai, gli effetti della gravità sulla geometria e gli effetti quantistici sulla geometria dello spazio-tempo sono fortemente accoppiati: le particelle quantistiche determinano la curvatura dello spazio-tempo e allo stesso tempo la geometria dello spazio-tempo è legata al potenziale quantico che influenza il comportamento dello particelle. Tutto questo è espresso da una metrica conforme, la quale comporta una compiuta immagine della geometrodinamica quantistica che fonde gli aspetti gravitazionali e quantistici della materia, almeno per quello che riguarda il livello di descrizione macroscopica dei processi fisici.
In realtà, ancora una volta, le cose non sono così semplici. La non-località resta comunque un fenomeno che mal si accorda con una visione “meccanica” dell’universo, e non a caso Bohm indicava la sua interpretazione della meccanica quantistica come quantum non-mechanics, per ribadire che in nessun modo poteva intendersi come un ritorno al classico, ma piuttosto come il recupero parziale di un “realismo sfumato”(fuzzy realism). Come ha sottolineato chiaramente Licata, ci sono due atteggiamenti epistemologici possibili nei confronti del “telo di Eddington” quantistico della geometrodinamica:
a) lo si assume come primario ma non-locale, e dunque bisogna introdurre ipotesi addizionali sulla sua struttura profonda, oppure
b) si deve considerare il tessuto spaziotemporale come un’emergenza di processi più profondi situati a livello di gravità quantistica.
Utilizzando l’ormai famosa immagine della complementarietà nella versione di David Bohm, possiamo dire che l’intera struttura connessa e locale dello spazio-tempo è l’ordine esplicito di un ordine nascosto, implicito, che funge da “fabbrica della realtà” a livello subquantico (Licata, 2008).
L’entropia quantistica nella teoria di Bohm
La teoria di Bohm è in grado di ricevere una nuova interessante e suggestiva rilettura, basata sull’idea che tutte le caratteristiche del potenziale quantico derivano da una quantità fisica fondamentale che può essere appropriatamente definita “entropia quantistica”. Questa nuova rilettura della teoria di Bohm – che l’autore di questo articolo ha introdotto e sviluppato nel recente articolo The quantum entropy as an ultimate visiting card of the de Broglie-Bohm theory – può essere chiamata la “versione entropica della teoria di Bohm” o, più brevemente, “teoria di Bohm entropica”.
Nella versione entropica della teoria di Bohm si assume che la distribuzione spazio-temporale dell’insieme di particelle – che descrivono il sistema fisico individuale in considerazione – genera una modifica della geometria dello spazio la quale è espressa da un’entità fisica dipendente dalla funzione d’onda e avente natura simile all’entropia classica (fornisce in pratica una sorta di controparte quantistica della legge classica di Boltzmann dell’entropia). Per questo motivo, questa entità fisica, che esprime la deformazione delle proprietà geometriche dello spazio in regime quantistico, può essere appunto definita come “entropia quantistica”. L’entropia quantistica può essere interpretata come l’entità fisica che, nel dominio quantistico, indica il grado di ordine e caos del vuoto sottostante alla distribuzione spazio-temporale dell’insieme di particelle associate alla funzione d’onda sotto studio. Nel recente articolo Bohmian split of the Schrödinger equation onto two equations describing evolution of real functions il fisico russo Valeriy Sbitnev ha mostrato che il potenziale quantico può essere espresso come canale di informazione che deriva dall’entropia quantistica. Il potenziale quantico emerge dall’entropia quantistica che descrive la modifica della geometria dello spazio prodotta dalla distribuzione dell’insieme di particelle associate alla funzione d’onda in considerazione. È l’entropia quantistica che crea, in regime quantistico, la presenza del potenziale quantico determinando due correttori quantistici nell’energia del sistema fisico in esame (rispettivamente dell’energia cinetica e dell’energia potenziale) e, senza questi due correttori quantistici legati all’entropia quantistica, l’energia totale del sistema non sarebbe conservata. In virtù della dipendenza del potenziale quantico dall’entropia quantistica, è proprio l’entropia quantistica l’entità fondamentale che determina il fatto che il potenziale quantico agisce come un canale di informazione nel comportamento delle particelle. La natura del potenziale quantico di agire come un canale di informazione sul comportamento delle particelle quantistiche deriva proprio dall’entropia quantistica. Il carattere geometrodinamico del potenziale quantico, vale a dire il fatto che il potenziale quantico ha una natura geometrica, una natura contestuale, contiene un’informazione globale sull’ambiente in cui viene effettuato l’esperimento, e allo stesso tempo il fatto che è un’entità dinamica, vale a dire che la sua informazione riguardo al processo e all’ambiente è attiva, deriva dall’entropia quantistica. L’entropia quantistica, che esprime la modifica della geometria dello spazio prodotta dall’insieme di particelle associate alla funzione d’onda in esame, rappresenta le proprietà geometriche dello spazio da cui deriva il comportamento delle particelle quantistiche. La stessa azione non-locale del potenziale quantico può essere vista come una conseguenza dell’entropia quantistica.
In sintesi, nella versione entropica della teoria di Bohm, si può affermare che l’entropia quantistica costituisce una sorta di entità intermediaria tra il background e il comportamento delle particelle subatomiche, e perciò tra l’azione del potenziale quantico e il comportamento di particelle quantistiche. L’introduzione dell’entropia quantistica come entità fondamentale che determina il comportamento delle particelle porta a delle equazioni del moto che suggeriscono una nuova suggestiva maniera di interpretare la teoria di Bohm. Com’è noto, nella consueta interpretazione della teoria di Bohm, le equazioni del moto sono non-lineari in natura, in virtù della dipendenza del potenziale quantico dalla funzione d’onda. Invece, adesso, nella versione entropica, si assume preliminarmente che la distribuzione delle particelle associate alla funzione d’onda in considerazione determina una modifica nella geometria dello spazio e poi, in questa nuova geometria “non-lineare”, le equazioni del moto del sistema sono lineari. L’introduzione dell’entropia quantistica permette di trasformare un modello non-lineare nella funzione d’onda in un modello lineare.
Un altro merito importante della versione entropica della teoria di Bohm è quello di portare a uno spazio degli stati complesso come background fondamentale che determina le caratteristiche delle traiettorie delle particelle. In questo background fondamentale, le traiettorie corpuscolari previste dalla teoria di Bohm risultano essere determinate dai due correttori quantistici (dell’energia cinetica e dell’energia potenziale) associati all’entropia quantistica.
Passando dal regime non relativistico a quello relativistico, l’entropia quantistica permette di introdurre nuove suggestive prospettive nell’ambito del modello sviluppato da F. Shojai e A. Shojai di cui si è accennato nel paragrafo precedente. Nella versione entropica, è possibile spiegare e giustificare perché e in che senso il potenziale quantico emerge come grado di libertà conformale dello spazio-tempo, perché e in che senso gli effetti della gravità sulla geometria e gli effetti quantistici sulla geometria dello spazio-tempo sono fortemente accoppiati: la chiave di spiegazione di questi risultati sta proprio nell’entropia quantistica, nella modifica della geometria dello spazio determinata dalla densità delle particelle associate alla funzione d’onda in considerazione. Nella versione entropica della teoria di Bohm in ambito relativistico è così possibile realizzare una geometrizzazione degli aspetti quantistici della materia in un quadro basato sull’idea che la densità delle particelle associate a una data funzione d’onda determina una modifica della geometria del background. La vera chiave di lettura del legame tra gravitazione e comportamento quantistico, riguardo al loro rilievo nel determinare le proprietà della geometria dello spazio-tempo, sta proprio nell’entropia quantistica: gli effetti della gravità sulla geometria e gli effetti quantistici sulla geometria dello spazio-tempo sono fortemente correlati perché sono entrambi determinati dal background descritto dall’entropia quantistica, sono entrambi prodotti dal grado di ordine e caos del vuoto sottostante alla densità di particelle associate alla funzione d’onda in esame. L’entropia quantistica emerge come la vera entità intermediaria tra gli effetti gravitazionali e gli effetti quantistici della materia.
L’approccio basato sull’introduzione dell’entropia quantistica introduce l’importante prospettiva di un background unitario in cui rileggere gravitazione e comportamento quantistico della materia. La prospettiva unificante di gravità e comportamento quantistico introdotta dall’entropia quantistica acquista inoltre un quadro ancora più completo all’interno del modello sviluppato da F. Shojai e A. Shojai in regime di gravità quantistica, dove l’entropia quantistica emerge realmente come un’entità dinamica che determina anche la struttura causale e il fattore di scala dello spazio-tempo.
Conclusioni
Nella teoria di Bohm, l’entropia quantistica – che descrive il grado di ordine e caos del background spazio-temporale determinato dalla densità delle particelle associate alla funzione d’onda in esame – può essere considerata l’entità fondamentale.
Nel dominio non relativistico, è proprio l’entropia quantistica l’elemento cruciale che determina il fatto che il potenziale quantico agisce come un canale di informazione sul comportamento delle particelle, che produce un’informazione attiva sulle particelle. La natura geometrodinamica del potenziale quantico, vale a dire il fatto che il potenziale quantico ha un carattere geometrico, contiene un’informazione globale sull’ambiente, e allo stesso tempo è un’entità dinamica, deriva dal background spazio-temporale determinato dall’entropia quantistica. L’entropia quantistica indica quali sono le proprietà geometriche dello spazio dalle quali la forza quantistica, e perciò il comportamento delle particelle, derivano.
Nel dominio relativistico, gli effetti della gravità sulla geometria e gli effetti quantistici sulla geometria dello spazio-tempo sono fortemente accoppiati come conseguenza dell’entropia quantistica, della modifica della geometria del background prodotta dalla distribuzione delle particelle associate alla funzione d’onda in considerazione.
Infine, in regime di gravità quantistica, l’entropia quantistica emerge come l’entità fondamentale che produce gli stretti legami tra gli effetti quantistici e il background ed è realmente un’entità dinamica. In particolare, la struttura causale e il fattore di scala dello spazio-tempo sono determinati dall’entropia quantistica.
Bibliografia
D. Bohm, “A suggested interpretation of the quantum theory in terms of hidden variables, parts i and ii”, Physical Review 85, 2, 166–193 (1952).
D. Bohm and B. J. Hiley, The undivided universe: an ontological interpretation of quantum theory (Routledge, London, 1993).
L. De Broglie, (1928), in “Solvay Congress (1927), Electrons and photons: rapports et discussions du Cinquime Conseil de Physique tenu Bruxelles du 24 au Octobre 1927 sous les auspices de l’Istitut International de Physique Solvay”, Paris, Gauthier-Villars.
R. W. Carroll, Fluctuations, Information, Gravity and the Quantum Potential, Springer, Dordrecht (2006).
D. Fiscaletti, I fondamenti nella meccanica quantistica. Un’analisi critica dell’interpretazione ortodossa, della teoria di Bohm e della teoria GRW (CLEUP, Padova, 2003).
D. Fiscaletti, I gatti di Schrödinger. Meccanica quantistica e visione del mondo (Muzzio Editore, Roma, 2007).
D. Fiscaletti, “Bohmian mechanics versus GRW theory”, Quantum Biosystems 2, 93-101 (2007). www.quantumbionet.org
D. Fiscaletti, “The geometrodynamic nature of the quantum potential”, Ukrainian Journal of Physics 57, 5, 560-572 (2012).
D. Fiscaletti, “The quantum entropy as an ultimate visiting card of de Broglie-Bohm theory”, Ukrainian Journal of Physics 57, 9, 946-963 (2012).
S. Goldstein, R. Tumulka and N. Zanghì, “Bohmian trajectories as the foundation of quantum mechanics”, arXiv:0912.2666v1 [quant-ph] (2009).
P. R. Holland, The Quantum Theory of Motion (Cambridge University Press, Cambridge, 1993).
I. Licata, Emergence and Computation at the Edge of Classical and Quantum Systems (World Scientific, Singapore, 2008).
I. Licata, “Vision of oneness. Space-time geometry and quantum physics”, in Vision of oneness, I. Licata and A. Sakaji editors (Aracne Editrice, Roma, 2011).
V. I. Sbitnev, “Bohmian split of the Schrödinger equation onto two equations describing evolution of real functions”, Kvantovaya Magiya 5, 1, 1101-1111 (2008). URL http://quantmagic.narod.ru/volumes/VOL512008/p1101.html.
V. I. Sbitnev, “Bohmian trajectories and the path integral paradigm. Complexified lagrangian mechanics”, International Journal of Bifurcation and Chaos 19, 7, 2335-2346 (2009); e-print arXiv:0808.1245v1 [quant-ph] (2008).
F. Shojai and A. Shojai, “Understanding quantum theory in terms of geometry”, e-print arXiv:gr-qc/0404102 v1 (2004).
F. Shojai and M. Golshani, “On the geometrization of bohmian mechanics: a new suggested approach to quantum gravity”, Int. J. Mod. Phys. A 13, 4, 677-693 (1998).
A. Shojai, “Quantum, gravity and geometry”, Int. J. Mod. Phys. A 15, 12, 1757 (2000), e-print arXiv:gr-qc/0010013.
F. Shojai and A. Shojai, “Weyl geometry and quantum gravity”, e-print arXiv: gr-qc/0306099 (2003).
Elicottero nero
E' da diversi giorni che questo elicottero nero senza insegne (o così
sembra) sorvola i cieli della provincia di Gorizia. Da alcune voci
sembra trattarsi di elicotteri dotati con telecamera per controllare
edifici abusivi o cose del genere. Qualcuno sa dirmi qualcosa? Grazie!
;)
venerdì 27 giugno 2014
Un villaggio di case sugli alberi in Piemonte è in continua espansione
tramite: http://freeanimals-freeanimals.blogspot.it/
Un intero villaggio che vive sugli alberi di castagno sui Monti Pelati nel Canavese che coniuga perfettamente vita nella natura, sviluppo sostenibile e i comfort della modernità.
L’articolo è ispirato da http://www.storiecredibili.it/2010/08/il-piccolo-popolo-che-vive-sugli-alberi di Antonio Gregolin Copyright 2014, pubblicato su RepubblicaXL
e siamo già in un’altro mondo.
Un intero villaggio che vive sugli alberi di castagno sui Monti Pelati nel Canavese che coniuga perfettamente vita nella natura, sviluppo sostenibile e i comfort della modernità.
Piccola, di legno e sostenibile, la casa
sull’albero è il rifugio in cui vivere una vita tranquilla e a contatto
con la natura, una vita in cui non si deve correre e non si deve
rincorrere.
Un progetto di vita che è il desiderio di
molti, vivere liberi e in simbiosi con la natura pura e semplice è la
sfida che si sono proposti di affrontare gli abitanti di questa piccola
comunità nata in un bosco di latifoglie.
In Piemonte, il sogno della casa sull’albero è
diventato realtà. A sette metri di altezza ecco le casette a un piano
unico, di legno e con le pareti ricamate da decorazioni lignee, dove
vivono 12 adulti e una bambina di un anno. Immersi tra i boschi dei
Monti Pelati hanno creato il primo villaggio ‘arboricolo’ di Italia. Le
case, realizzate con le più innovative tecniche di bioedilizia, si
integrano perfettamente alla natura e sono costruite utilizzando quanto
più possibile materiali del bosco o materiali riciclati, e sorgono tutte
sugli alberi di castagno ad un’altezza di 6-7 metri, supportate da
grosse travi di legno, in stile vecchia palafitta.«Non siamo “figli dei
fiori” o delusi della società e tanto meno eremiti», spiega Dario, papà
di Galatea. E a conferma delle parole arriva il mestiere: Dario fa il
manager e dirige la sua azienda che importa in Italia rum cubano.
«Volevamo solo recuperare una vita che tutti noi sentivamo di perdere
nelle nostre città. Qui noi non sopravviviamo, qui riusciamo a vivere
più intensamente». Molti lavorano lontano ma la sera tornano sui loro
alberi.
Ognuno qua si costruisce il proprio “nido”
con non poca fatica. È il caso di Elisabeth, che da mesi si sta
dedicando alla sua casa, con l’aiuto del resto degli arboricoli. È la
più grande e spaziosa del villaggio, con tre piani e includerà anche un
piccolo osservatorio che lambirà le sommità delle chiome. La poesia in
questo lascia spazio alla vera fatica: «Servono carrucole, corde,
volontà e buone braccia», spiega Elisabeth, intenta a issare le travi
che serviranno per il terzo piano, «il resto, ce lo offre il bosco e la
moderna tecnologia, come i materiali utilizzati per coibentare le pareti
delle case contro il freddo». Un vero e proprio lavoro d’ingegneria,
che è il risultato della loro esperienza e dello studio delle case già
costruite in giro per l’Europa. «Da tempo cercavamo un posto così», dice
Angelo, indicandoci la sua casa esagonale a due piani, con tanto di
accogliente bagno, studio e camera da letto, «finalmente abbiamo trovato
quello che volevamo e ci abbiamo messo radici. Il peso delle case non
può essere sostenuto da tronchi giovani che non superano la quarantina
d’anni; così usiamo travi di otto metri che pesano anche cinque
quintali, poggiate su grossi massi e piantate accanto ai castagni».
Il risultato è un perfetto equilibrio di
forme, con la massima attenzione e cura per l’ambiente circostante:
«Inutile dire che, per noi tutti, il rispetto per l’ecosistema bosco è
vitale, importantissimo», sottolinea Dario mentre ci offre un sorso del
suo rum cubano. Bosco che sembra accettare bene i suoi inquilini: «Fino a
due anni fa, questa zona che ci circonda», spiega Maria Pia, «era
impoverita dall’eccessivo sfruttamento forestale. Ma rispettando
l’ambiente, il numero delle specie vegetali, dagli alberi alla erbe
spontanee, sta pian piano crescendo e la natura ritrova così il suo
equilibrio».
Per raggiungere le abitazioni si percorre una
stretta e tortuosa strada di montagna con l’auto, fino a quando diventa
necessario proseguire a piedi per arrivare in questo luogo incantato.
Gli abitanti sono manager, farmacisti, biologi, infermieri, orafi e
ricercatori, e a differenza di chi potrebbe pensare che sono degli
eremiti, ogni giorno si spostano per andare nei loro rispettivi posti di
lavoro, per poi la sera fare ritorno nel loro piccolo mondo, dove il
grande spirito di adattamento e il sacrifcio, viene ripagato con
l’esperienza unica di vivere sugli alberi a strettissimo contatto con la
natura. L’ora del pranzo viene comunicata a tutti i componenti della
comunità con il suono di una conchiglia, e tutti si riuniscono per
mangiare in uno scenario del tutto esclusivo e spettacolare.
Tra le case sugli alberi del villaggio
piemontese, niente strade di asfalto, ma ponti e passerelle di legno
sospese, che permettono di non scendere mai a terra per spostarsi da un
punto all’altro del villaggio. Ad essere sospeso in aria è quindi
l’intero villaggio, i cui abitanti, nonostante l’altezza e l’insolita
abitazione non rinunciano alle comodità e alla tecnologia. Chi abita la
casa sull’albero, infatti, non si fa mancare telefonino, computer e
internet. Il villaggio di case sull’albero, iniziato a costruire nel
2002, è in continua espansione.
L’articolo è ispirato da http://www.storiecredibili.it/2010/08/il-piccolo-popolo-che-vive-sugli-alberi di Antonio Gregolin Copyright 2014, pubblicato su RepubblicaXL
e siamo già in un’altro mondo.
Confermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: “La chemioterapia è cancerogena!”
Già da tempo si conoscono gli effetti collaterali della chemioterapia, il cancro rimane
ancora la seconda causa di morte nei paesi sviluppati, eppure la
medicina ufficiale sembra ancora molto lontana dall’accettare e
comprendere questa verità.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato la chemioterapia come agente cancerogeno, in quanto proprio il trattamento standard, che dovrebbe distruggere le cellule tumorali, in realtà ha effetti collaterali dannosi poiché si basa ancora su agenti genotossici.
La chemioterapia distrugge il DNA di tutte le cellule che si dividono velocemente. Le cellule cancerogene si dividono rapidamente, ma anche le cellule del sistema immunitario si dividono rapidamente. Ne consegue quindi che la chemioterapia distrugge anche l’unica cosa che può salvarci la vita.
Il farmaco denominato tamoxifene, per esempio, viene utilizzato in prima linea per il trattamento di alcuni tipi di cancro al seno, ma la sua somministrazione provoca anche il cancro all’endometrio e al fegato. Il farmaco, associato alla chemioterapia, rappresenta inoltre un problema per la resistenza dei batteri patogeni agli antibiotici. Ne vale quindi davvero la pena?
Una statistica condotta dall’OMS in associazione con l’American Cancer Society, ha quantificato che il beneficio della chemioterapia equivale appena al 2,2% e i rischi sono di gran lunga maggiori rispetto ai reali benefici.
Inoltre, la chemioterapia non distruggerà mai il 100% delle cellule cancerogene, ma nella migliore delle ipotesi, potrà eliminarne dal 60 all’80%, il restante lavoro spetterà comunque al nostro sistema immunitario.
Perché per così tanto tempo è stato permesso di curare i malati di cancro con la chemioterapia senza cercare o applicare altre soluzioni? Forse sono troppi gli interessi delle case farmaceutiche, dato che al Sistema Sanitario Nazionale un trattamento chemioterapico costa anche mille euro al giorno? Oppure siamo solo cavie umane di laboratorio dove il rispetto e l’interesse della persona non hanno più alcun significato?
Anche la radioterapia, come la chemioterapia ha gravi effetti, soprattutto nel trattamento del cancro al seno, in quanto un seno sottoposto a radiazioni ha più probabilità di sviluppare cancro ai polmoni. E’ stato dimostrato che la radioterapia aumenta fino a 30 volte la sopravvivenza, ma anche la capacità di auto-rinnovo delle cellule del carcinoma mammario, in quanto, mentre inizialmente la radioterapia può far regredire il tumore, in realtà poi una sottopopolazione di cellule resistenti alle radiazioni diventa aggressiva e provoca maggiore malignità. Così succede anche per la chemioterapia o per le radiazioni a basso dosaggio, utilizzate per diagnosticare tumori al seno (mammografie), con molta probabilità potrebbero essere proprio questi esami di “controllo” a causare lo sviluppo dei tumori.
Il cancro non è un processo che avviene a caso, ma è un programma di sopravvivenza, nel quale la cellula tumorale è in grado, grazie alla sua sopravvivenza evolutiva e genetica, di sopravvivere a condizioni difficili come l’esposizione ad agenti chimici, la scarsità di ossigeno, la maggiore disponibilità di zuccheri e il ph acido. La somministrazione di agenti chemioterapici tossici può uccidere la cellula più debole e creare le condizioni affinché possano evolversi le cellule tumorali maligne. Non è la forma “aggressiva” del cancro a provocare la morte dei pazienti, come vorrebbero farci credere, ma i trattamenti stessi.
Forse prima bisognerebbe chiedersi che cos’è il cancro.
“Le nuove scoperte della Fisica Quantistica stabiliscono che siamo sì costituiti da atomi e molecole, ma questi atomi e molecole sono la manifestazione di una determinata frequenza di energia e il cancro non è altro che un’alterazione delle frequenze del nostro corpo a causa di un errore di informazione delle nostre cellule, che le porta ad ammalarsi. Se guardiamo l’uomo come a un campo energetico possiamo comprendere meglio che per guardare dobbiamo ripristinare i corretti flussi energetici del nostro corpo, in modo tale che le cellule malate riacquistino le giuste informazioni e riprendano le corrette funzioni”. Questo è ciò che ha dichiarato il Professor Giuseppe Genovesi, presidente del PNEI (Psico Neuro Endocrino Immunologia) e ricercatore universitario del Policlinico Umberto I di Roma.
Anche lo scienziato americano Bruce Lipton, autore del libro “La Biologia delle Credenze”, spiega che non sono i geni a farci ammalare, ma il modo in cui il nostro corpo interpreta gli stimoli ambientali. La nostra mente inconscia elabora ogni secondo oltre 4 miliardi di informazioni e risponde ad esse in base a come è stata programmata. E’ proprio la nostra mente inconscia che controlla il 95% delle nostre funzioni. Regola la respirazione, la digestione, il battito cardiaco, la pressione arteriosa, legge le informazioni dell’ambiente e attua i relativi meccanismi di risposta. E’ lei che sa quali “frequenze” sono giuste per noi. Da qui possiamo capire quanto sia di vitale importanza imparare a comunicare con la mente inconscia, se vogliamo prendere piena consapevolezza della nostra vita. E’ solo così che possiamo determinare autonomamente se i flussi di energia nel nostro corpo sono corretti o scorretti. Le cellule “impazzite” del cancro non sono altro che cellule che hanno ricevuto frequenze sbagliate, dobbiamo ridare loro le giuste informazioni, affinché possano riappropriarsi delle loro funzioni. Come fare? Quali sono le risorse alle quali dobbiamo attingere per ripristinare le giuste frequenze del nostro corpo? Le soluzioni le possiamo trovare nei tre differenti “livelli” che caratterizzano l’essere umano: mente, corpo e spirito.
Fonti:
http://all-natural.com/tamox.html
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15630849?ordinalpos=1&itool=Entrez
http://www.who.int/whr/2013/report/en/index.html
link
Il sasso
[24 giugno 2014]
Ancora rivoluzioni annunciate per il solare. Un team di
ricercatori danesi, tedeschi, francesi, finlandesi e britannici ha
pubblicato su Energy & Environmental Science lo studio “Scalable,
ambient atmosphere roll-to-roll manufacture of encapsulated large area,
flexible organic tandem solar cell modules” che presenta «Un modo
veloce, scalabile e industrialmente valido per la produzione di grandi
fogli di celle “organiche tandem”. Secondo Chemestry World questa
applicazione roll-to-roll processing di successo è un risultato
significativo per questa tecnologia emergente delle rinnovabili».Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
[24 giugno 2014]
Ancora rivoluzioni annunciate per il solare. Un team di
ricercatori danesi, tedeschi, francesi, finlandesi e britannici ha
pubblicato su Energy & Environmental Science lo studio “Scalable,
ambient atmosphere roll-to-roll manufacture of encapsulated large area,
flexible organic tandem solar cell modules” che presenta «Un modo
veloce, scalabile e industrialmente valido per la produzione di grandi
fogli di celle “organiche tandem”. Secondo Chemestry World questa
applicazione roll-to-roll processing di successo è un risultato
significativo per questa tecnologia emergente delle rinnovabili».Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
Ancora rivoluzioni annunciate per il solare. Un team di
ricercatori danesi, tedeschi, francesi, finlandesi e britannici ha
pubblicato su Energy & Environmental Science lo studio “Scalable,
ambient atmosphere roll-to-roll manufacture of encapsulated large area,
flexible organic tandem solar cell modules” che presenta «Un modo
veloce, scalabile e industrialmente valido per la produzione di grandi
fogli di celle “organiche tandem”. Secondo Chemestry World questa
applicazione roll-to-roll processing di successo è un risultato
significativo per questa tecnologia emergente delle rinnovabili».
Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
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Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
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Ancora rivoluzioni annunciate per il solare. Un team di
ricercatori danesi, tedeschi, francesi, finlandesi e britannici ha
pubblicato su Energy & Environmental Science lo studio “Scalable,
ambient atmosphere roll-to-roll manufacture of encapsulated large area,
flexible organic tandem solar cell modules” che presenta «Un modo
veloce, scalabile e industrialmente valido per la produzione di grandi
fogli di celle “organiche tandem”. Secondo Chemestry World questa
applicazione roll-to-roll processing di successo è un risultato
significativo per questa tecnologia emergente delle rinnovabili».
Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
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Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
- See more at: http://www.greenreport.it/news/energia/solare-futuro-organico-replicabile-sottilissimo-flessibile/#sthash.VxWkZh5b.dpuf
Ancora rivoluzioni annunciate per il solare. Un team di
ricercatori danesi, tedeschi, francesi, finlandesi e britannici ha
pubblicato su Energy & Environmental Science lo studio “Scalable,
ambient atmosphere roll-to-roll manufacture of encapsulated large area,
flexible organic tandem solar cell modules” che presenta «Un modo
veloce, scalabile e industrialmente valido per la produzione di grandi
fogli di celle “organiche tandem”. Secondo Chemestry World questa
applicazione roll-to-roll processing di successo è un risultato
significativo per questa tecnologia emergente delle rinnovabili».
Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
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Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
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ricercatori danesi, tedeschi, francesi, finlandesi e britannici ha
pubblicato su Energy & Environmental Science lo studio “Scalable,
ambient atmosphere roll-to-roll manufacture of encapsulated large area,
flexible organic tandem solar cell modules” che presenta «Un modo
veloce, scalabile e industrialmente valido per la produzione di grandi
fogli di celle “organiche tandem”. Secondo Chemestry World questa
applicazione roll-to-roll processing di successo è un risultato
significativo per questa tecnologia emergente delle rinnovabili».
Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
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Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
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pubblicato su Energy & Environmental Science lo studio “Scalable,
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flexible organic tandem solar cell modules” che presenta «Un modo
veloce, scalabile e industrialmente valido per la produzione di grandi
fogli di celle “organiche tandem”. Secondo Chemestry World questa
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Una cella fotovoltaica organica (Opv) è un film sottile a base di polimeri. Le celle solari Opv sono da tempo al centro di molte ricerche perché sono leggere, flessibili, poco costose, facili da installare e potenzialmente usa e getta. Sarebbero anche al top per l’energia che possono restituire rispetto al costo energetico della loro produzione. Il fotovoltaico organico potrebbero essere particolarmente utile in luoghi che non hanno molta luce solare, dato che non richiedono la luce diretta del sole e sono in grado di produrre energia per periodi più prolungati.
Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
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Fino ad ora il limite maggiore delle Opv, oltre alla durata della loro vita operativa, era quello di migliorarne l’efficienza, ma sono stati studiati nuovi materiali, metodi di lavorazione e architetture dei dispositivi e tra questi c’è proprio la cella tandem, con giunzioni che permettono di unirle le une alle altre, aumentando così di aumentare l’efficienza della cella, non solo aumentando il numero di giunzioni, ma, insieme ad un’attenta selezione dei materiali, può permettere di attrarre fotoni da una regione più ampia dello spettro. Tuttavia, questa architettura rende la loro fabbricazione più complicata e significativamente più impegnativa.
Il gruppo di Frederik Krebs della Danmarks Tekniske Universitet, che ha guidato il team di ricerca europeo, è specializzato in tecnologie per le energie rinnovabili, in particolare le Opv, ha per la prima volta la possibilità di produrre fabbricazione moduli tandem Opv, ognuno formato da 14 strati che vengono rapidamente stampati, rivestiti e depositati uno sopra l’altro da una macchina che ricorda una stampatrice a pressione. Il test è stato condotto in condizioni semplici ed è estremamente veloce, con un singolo modulo di cella solare che può essere stampata su un foglio ogni secondo. «Ma soprattutto – dicono i ricercatori danesi – il processo è relativamente economico e completamente scalabile, con una elevata resa tecnica».
Krebs e il suo team hanno dato vita alla Free Opv Initiative, che si basa sul concetto che il polimero delle celle solari dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque. Krebs incoraggia chiunque abbia un interesse tecnico o accademico nelle Opv a «Utilizzare questa offerta speciale per studiare, possedere, richiedere, decodificare, copiare e utilizzare questi moduli Opv che sono stati creati per propagare l’Opv e che , auspicabilmente, in futuro ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo di rifornire il mondo con energia da Opv». I ricercatori danesi concludono: «La direzione futura di questa ricerca va ora nello sviluppo di materiali e nell’ottimizzazione di ciascuno strato per il processo di fabbricazione».
Infatti in Germania sperano di risolvere il problema della vita troppo breve delle celle organiche incorporandole in un vetro flessibile per proteggere meglio i componenti. «Il vetro non è solo il materiale inglobante ideale, tollera anche temperature di processo fino a 400 gradi – spiega Danny Krautz, project manager al Fraunhofer Institute for Applied Polymer Research – Il vetro speciale è resistente alla rottura, estremamente forte, e può essere usato per fare strati pari a 100 micrometri di spessore, – all’incirca lo stesso spessore di un foglio di carta».
Secondo Seth Darling, del Center for Nanoscale Materials dell’ Argonne National Laboratory Usa, «Le prestazioni di questi dispositivi scalabili prodotti ha una lunga strada da percorrere per raggiungere la redditività commerciale, ma questo lavoro dimostra chiaramente che il processo in sé è fattibile ed ha il potenziale per avere un vero e proprio impatto sul mercato».
Jade Jones, un esperto di mercato del fotovoltaico, ha spiegato a Climate Progress che «Mentre i recenti progressi tecnologici potrebbero essere promettenti, è importante sottolineare che c’è differenza tra l’efficienza della cella commerciale e l’efficienza della cella di ricerca. Una cella prodotta in laboratorio avrà un rendimento superiore ad una cella prodotta su scala di massa. E fino a quando non sarà migliorata l’efficienza e la durata nel tempo del fotovoltaico organico, probabilmente non lo vedremo prodotto su larga scala. L’Opv è ancora in fase di ricerca/gruppo di lavoro. Non vediamo grossi produttori commerciali che parlano di Opv».
Ma il governo tedesco crede nell’ampio potenziale di un’adozione di massa della tecnologia e recentemente ha investito 16 milioni di euro nella ricerca sullo sviluppo del fotovoltaico organico. Un progetto capeggiato da Merck, un colosso farmaceutico, della chimica e life science, che punta a sviluppare materiali più stabili ed efficienti per l’Opv, a facilitarne la distribuzione su larga scala per usi come l’alimentazione di sistemi elettronici delle auto e nelle facciate in vetro per dare energia solare agli edifici.
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