martedì 4 novembre 2014

Interstellar, grazie al film di Christopher Nolan “nuove scoperte sui buchi neri”

Interstellar, grazie al film di Christopher Nolan “nuove scoperte sui buchi neri”
Scienza
 
La pellicola contiene la più accurata rappresentazione scientifica di un buco nero. Nell’opera è stato battezzato Gargantua ed è il prodotto del lavoro 30 persone e centinaia di computer. Dietro questo risultato ci sono infatti le equazioni di uno dei principali esperti di Relatività Generale Kip Thorne
Scienza e fantascienza sono sempre andate d’accordo. A volte è il mondo della ricerca a ispirare l’industria dei sogni. In altri casi è il cinema a diventare scienza e svelare aspetti sconosciuti della Natura. Come in Interstellar, l’ultima attesa opera di Christopher Nolan, l’autore che ha già firmato altre pellicole di successo come MementoInception e la trilogia di Batman. Il film sbarca, è proprio il caso di dirlo, nelle sale italiane il 6 novembre, e contiene la più accurata rappresentazione scientifica mai realizzata di un buco nero. Nell’opera è stato battezzato Gargantua – come il gigante protagonista di una serie di romanzi del Cinquecento – ruota a velocità prossime a quella della luce ed è il prodotto di un anno di lavoro di un team di 30 persone e centinaia di computer. Dietro questo risultato c’è, però, la mano, anzi le equazioni, di uno dei principali esperti di Relatività Generale – di cui il prossimo anno si celebra il centenario -, Kip Thorne. “Interstellar è un film in cui la scienza è integrata sin dalle prime fasi della sua realizzazione”, sottolinea l’astrofisico americano, che dell’opera è anche produttore esecutivo.

Il film nasce da una sua idea. Ed è a partire dalle sue equazioni sulla geometria dell’universo che gli esperti di computer grafica ed effetti speciali hanno realizzato un’accurata rappresentazione di un buco nero, e del modo in cui questo mostro cosmico distorce lo spaziotempo circostante con il suo abbraccio gravitazionale, compreso il disco di materiale che inesorabilmente vi precipita dentro. Il risultato è una elaborazione diversa da quelle con cui gli scienziati erano abituati a confrontarsi. Niente disco che ricorda gli anelli di Saturno, ma una struttura simile a un enorme imbuto, con un occhio nero al centro, che disegna arcobaleni di luce e materia. Thorne ne è subito entusiasta. “Studio da anni i buchi neri, ma poterli in qualche modo osservare è completamente diverso. È la prima volta – sottolinea lo scienziato – che in una pellicola di Hollywood la descrizione di un buco nero parte dalle equazioni di Einstein. E il risultato rappresenta bene il modo in cui pensiamo che la Natura si comporti. Per questo, abbiamo intenzione di scrivere due articoli scientifici, il primo rivolto alla comunità degli astrofisici e il secondo a quella degli esperti di computer grafica. Con questa simulazione realizzata per il film – spiega Thorne – abbiamo, infatti, scoperto alcuni aspetti legati agli effetti gravitazionali dei buchi neri in rapida rotazione di cui finora non eravamo a conoscenza”.

L’industria del cinema ha, quindi, anticipato la scienza. “Gli autori del film, avendo a disposizione computer molto potenti e risorse che le università spesso non possiedono, sono riusciti a ottenere un modello di buco nero molto realistico – spiega Amedeo Balbi, astrofisico dell’Università di Roma Tor Vergata e divulgatore -. Non si tratta, infatti, di un cartone animato, di una semplice interpretazione artistica, ma di un risultato dietro il quale c’è la fisica di Einstein e il lavoro di uno dei maggiori conoscitori della sua teoria sull’universo”.
Annunciato come un nuovo 2001 Odissea nello spazio, Interstellar ha un cast formato da una piccola galassia di star di Hollywood, dal protagonista Matthew McConaughey a Michael Caine, Jessica Chastain e Anne Hathaway. Costato 160 milioni di dollari, è stato girato tra lo stato dell’Alberta, in Canada, e l’Islanda. La storia è ambientata in un imprecisato futuro nel quale, a causa dei mutamenti climatici, le scorte alimentari sulla Terra iniziano a scarseggiare. Un gruppo di scienziati organizza allora una spedizione interstellare, alla ricerca di nuovi possibili mondi in cui trovare luoghi adatti per le coltivazioni. L’unico modo per raggiungere i più lontani recessi del cosmo è, però, attraversare dei bizzarri tunnel spaziotemporali, i cosiddetti wormhole. Ma cosa sono questi passaggi segreti al confine tra scienza e fantascienza? “Un wormhole, tecnicamente noto come ponte di Einstein-Rosen – chiarisce Balbi – è una specie di buco nello spaziotempo, che mette in comunicazione due punti molto distanti dell’universo attraverso una scorciatoia. Si tratta di soluzioni matematiche delle equazioni di Einstein che non violano alcun principio fisico”.

Ipotizzati sin dagli anni ’30, a dar loro una precisa cornice scientifica è proprio Kip Thorne. E ancora una volta c’è di mezzo un film. Siamo nel 1985 e Carl Sagan, astronomo e noto divulgatore scientifico, sta scrivendo il romanzo Contact, da cui verrà poi realizzata una pellicola di successo interpretata da Jodie Foster e lo stesso protagonista di Interstellar Matthew McConaughey.
“Sagan ha bisogno di un modo realistico per far viaggiare la protagonista da una parte all’altra dello spaziotempo – racconta Balbi -. Pensa, così, di farla precipitare in un buco nero, per poi risbucare in un altro punto dell’universo. Ma non è sicuro che la cosa possa funzionare. Decide, allora, di chiamare il suo amico e collega Thorne, che legge il manoscritto e si accorge subito che il meccanismo ideato da Sagan non può funzionare. Qualsiasi cosa entri in un buco nero, infatti, fa una brutta fine – spiega l’astrofisico italiano -. Nasce, così, l’idea del wormhole. Si tratta, però, di ricerche puramente teoriche, che non hanno alcuna possibilità di essere realizzate. Anche ammesso che si apra, un wormhole sarebbe, infatti, instabile e si richiuderebbe in un lasso di tempo brevissimo. Per poterne sfruttare le potenzialità – aggiunge lo studioso – ci vorrebbe ad esempio una civiltà molto più avanzata della nostra”.
Allora perché è importante studiarli? “Una delle ragioni – spiega Balbi – è che permettono di esplorare i limiti della Relatività Generale. Negli ultimi anni, però, l’interesse scientifico per queste strane soluzioni delle equazioni di Einstein è aumentato, anziché diminuire, perché – conclude lo scienziato – legato agli studi sulla cosiddetta energia oscura, sulla cui natura non sappiamo granché, ma che permea il 70% del cosmo e dà ragione fisica alla teoria secondo cui l’espansione dell’universo sta accelerando”.

Il trailer



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