giovedì 5 marzo 2015

L’universo non brilla quanto dovrebbe

Nella Via Lattea nascono meno stelle di quante dovrebbero, considerato il gas interstellare disponibile. I ricercatori dell'MIT e della Michigan State University hanno costruito un modello teorico che descrive come gli ammassi di galassie possono regolare la formazione stellare. Nel loro articolo, in pubblicazione questa settimana sulla rivista Nature, descrivono questo innovativo modello.
Perché le galassie non sfornano tante stelle quante dovrebbero? Ogni anno nascono una manciata di stelle nuove nella Via Lattea, e molte altre brillano nell’universo. Ma gli astronomi hanno osservato che le galassie dovrebbero generarne un numero molto maggiore, stando al quantitativo di gas interstellare a loro disposizione.
I ricercatori dell’MIT e della Michigan State University hanno costruito un modello teorico che descrive come gli ammassi di galassie possono regolare la formazione stellare. Nel loro articolo, in pubblicazione questa settimana sulla rivista Nature, descrivono questo innovativo modello.
Quando il gas intergalattico si raffredda, condensa e collassa formando nuove stelle. Gli scienziati hanno a lungo pensato che qualcosa impedisse al gas di raffreddarsi abbastanza da permettere la formazione di altre stelle, ma cosa provocasse questo effetto è rimasto da sempre un mistero. Per alcuni ammassi di galassie, dicono i ricercatori, il gas intergalattico potrebbe semplicemente essere troppo caldo, dell’ordine di centinaia di milioni di gradi Celsius. Anche se una regione dovesse sperimentare un raffreddamento, l’intensità del calore circostante impedirebbe alla regione di raffreddarsi ulteriormente, un effetto noto come conduzione.

Ammasso della Chioma
Ammasso della Chioma

«Sarebbe come mettere un cubetto di ghiaccio nell’acqua bollente. La temperatura media rimarrebbe molto alta», dice Michael McDonald, ricercatore presso il Kavli Institute for Astrophysics and Space Research dell’MIT. «A queste super-temperature la conduzione appiattisce la distribuzione di temperature, e questo impedisce la formazione di nubi fredde, all’interno delle quali potrebbero formarsi stelle». Per avere i cosiddetti ammassi di galassie con “nuclei freddi”, il gas nelle vicinanze del centro deve essere abbastanza freddo da poter formare stelle. Tuttavia, una porzione di questo gas raffreddato può scivolare verso il buco nero al centro di una galassia, che poi sputa fuori materiale caldo. Il materiale emesso riscalda a sua volta i materiali circostanti, impedendo la formazione di stelle. Questo effetto viene chiamato “feedback dovuto alla caduta”.
«Alcune stelle si formeranno, ma prima che il processo prenda piede, il buco nero riscalderà tutto di nuovo. È come il termostato dell’ammasso», dice McDonald. «La combinazione di conduzione e feedback dovuto alla caduta fornisce un quadro semplice e chiaro di come la formazione di stelle funzioni negli ammassi di galassie».
Nell’universo esistono due grandi classi di ammassi di galassie: quelli con nucleo freddo, ovvero quelli che si raffreddano rapidamente e formano stelle, e quelli con nucleo non freddo, ovvero quelli che non hanno tempo sufficiente per raffreddarsi. L’ammasso della Chioma, un ammasso non freddo, è ricco di gas che arrivano a temperature di 100 milioni di gradi Celsius. Per poter formare stelle questo gas dovrebbe raffreddarsi per miliardi di anni. Al contrario, l’ammasso di Perseo ha il nucleo freddo, e le temperature del suo gas interstellare arrivano a qualche milione di gradi Celsius. Dal raffreddamento del gas presente nell’ammasso di Perseo nascono occasionalmente nuove stelle, anche se non quante previste dagli scienziati.
«La quantità di combustibile per alimentare la formazione stellare supera di dieci volte la quantità di stelle osservate. Questi ammassi dovrebbero essere molto più ricchi di stelle”, spiega McDonald. “C’è bisogno di un meccanismo che impedisca al gas di raffreddarsi, altrimenti l’universo dovrebbe avere circa dieci volte più stelle di quante ne vediamo».
McDonald e i suoi colleghi hanno sviluppato un modello teorico che tiene conto di due meccanismi anti-raffreddamento. I ricercatori hanno calcolato il comportamento del gas intergalattico basandosi su valori medi di raggio, massa, densità e temperatura per un ammasso. Quello che hanno trovato è che c’è una temperatura critica di soglia al di sotto della quale il raffreddamento del gas accellera in maniera significativa, causando un raffreddamento del gas abbastanza rapido da permettere la formazione di stelle.
Stando a questo modello teorico, ci sono due meccanismi differenti che regolano la formazione stellare, a seconda che l’ammasso di trovi sotto o sopra al soglia di temperatura. Per ammassi significativamente al di sopra della soglia, la conduzione ammortizza la formazione di stelle: i gas circostanti sono troppo caldi perché possano sopravvivere sacche di gas freddo, mantenendo il materiale dell’ammasso ad alte temperature.
«Questi ammassi caldi non potranno mai formare stelle, perché la loro temperatura non potrà mai abbassarsi abbastanza”, dice McDonald. “Una volta che entrano in questo regime di alte temperature, il raffreddamento è inefficiente e gli ammassi rimangono per sempre ad alte temperature».

L'ammasso di Perseo osservato dal telescopio Chandra. Crediti: NASA/CXC/SAO
L’ammasso di Perseo osservato dal telescopio Chandra. Crediti: NASA/CXC/SAO

Per gas intergalattici a temperature al di sotto del valore di soglia è molto più facile formare stelle. Nonostante ciò, in questi ammassi il feedback dovuto alla caduta interviene e regola la formazione stellare: mentre il gas si sta raffreddando e condensa in nubi che possono formare stelle, le nubi stesse possono scivolare verso un buco nero, e il buco nero può emettere getti di materiale caldo nell’ammasso, riscaldando l’ambiente nei dintorni del gas e impedendo la formazione di altre stelle. «Nell’ammasso di Perseo vediamo questi getti in azione sul gas, con bolle, increspature e fronti d’onda”, aggiunge McDonald. “Ora abbiamo una buona idea di cosa inneschi questi getti, ovvero il gas precipitato verso il buco nero».
Mc Donald e i colleghi hanno confrontato il loro lavoro teorico con le osservazioni di ammassi di galassie distanti, e hanno trovato che la loro teoria concorda con le differenze osservate tra differenti ammassi. Il team ha raccolto dati del telescopio ad alte energie Chandra X-ray Observatory e del South Pole Telescope, un osservatorio nell’Antartide che cerca ammassi di gallassie estremamente massicci.
I ricercatori hanno studiato l’andamento dei tempi di raffreddamento di ogni ammasso di galassie noto, confrontandolo con la loro teoria, e hanno scoperto che gli ammassi si suddividevano in due popolazioni: quella degli ammassi a lento raffreddamento e quelli a raffreddamento rapido. Questi due gruppi sono molto vicini al valore di soglia predetto dallo studio teorico.
Usando il proprio modello, McDonald sostiene di poter predire l’evoluzione degli ammassi di galassie e la loro formazione stellare. «Abbiamo costruito un binario su cui gli ammassi si sono posizionati», dice McDonald. «L’aspetto elegante e semplice di questo modello è che ci si trova ancorati ad uno dei due scenari per un tempo molto lungo, finché non avviene qualcosa di catastrofico, come uno scontro frontale con un altro ammasso». I ricercatori sperano di poter analizzare meglio il comportamento di questo modello, per scoprire se il meccanismo che regola la formazione stellare negli ammassi si applichi anche a singole galassie. I primi dati a nostra disposizione sembrano suggerire di sì. «Se riuscissimo ad usare queste informazioni per capire perché le stelle si formano o non si formano attorno a noi avremmo fatto un enorme passo avanti in questo campo», conclude McDonald.

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