lunedì 17 marzo 2014

Dal concetto di “campo morfogenetico” al concetto di “campo comportamentale e mentale”

“Fu nel periodo in cui svolgevo ricerche sullo sviluppo delle piante presso l’Università di Cambridge che giunsi alla conclusione che gli organismi viventi sono organizzati tramite campi[1]”,
questo è ciò che scrive Rupert Sheldrake nel suo libro.
Con quale metodo le piante crescono da semplici embrioni contenuti nei semi, fino a diventare gardenie, sequoie o bambù? In che modo le foglie, i fiori e i frutti assumono le proprie forme caratteristiche?
Queste domande sono in relazione a ciò che i biologi chiamano “morfogenesi”: la nascita della forma (dal greco morphe = forma + genesis  = genesi). Gli stessi problemi sorgono nella comprensione di come cellule ovulari fertilizzanti negli animali diano vita a mosche, pesci rossi o elefanti o umani[2].
La risposta più ingenua consiste nel dire che tutto è programmato geneticamente.
In qualche modo ciascuna pianta o animale in fase di sviluppo segue le istruzioni contenute nei propri geni. Il problema di questa teoria è che noi sappiamo in realtà che cosa fanno i geni: codificano le molecole delle proteine. Inoltre, alcuni geni si occupano del controllo della sintesi delle proteine e questo è molto diverso dalla morfogenesi “di programmazione” o dal comportamento istintivo. I geni consentono alle cellule di produrre le proteine giuste nei momenti giusti man mano che l’organismo si sviluppa. Ma in che modo avere le proteine giuste spiega la forma di un fiore, o la struttura di un topo? Nessuno lo sa. Questo è uno dei principali problemi irrisolti della biologia.

Tafel_06

Ernst Haeckel – complex mineral skeleton – XIX secolo
Uno dei più perspicaci biologi molecolari, Sidney Brenner, ha così riassunto la situazione nel 2001: “se diciamo semplicemente che lo sviluppo non equivale ad altro che a mettere i geni giusti nel posto giusto ed al momento giusto, tutto qui, ciò è assolutamente vero. Ma è assolutamente inutile, poiché nel profondo ciò che ci piacerebbe fare è in realtà produrre un topo (…) ovviamente nessuno costruirà un topo reale, ma ci piacerebbe essere in grado di creare un topo gedanken (immaginario)”.
Nel corso degli ultimi 40 anni sono stati fatti sforzi enormi per studiare i geni e controllarne l’attività. È ora disponibile una vasta quantità di informazioni dettagliate, ma come sottolinea Brenner, questo non significa comprendere lo sviluppo di un topo o di qualsiasi altro organismo. Mettere i geni giusti al posto giusto e nel momento giusto è soltanto il primo dei molti passaggi.
Dire che le cellule, tessuti e organi si organizzino semplicemente in modo automatico equivale a dire che se tutti i materiali venissero consegnati ad un cantiere nei momenti giusti, l’edificio si costruirebbe automaticamente da solo e con la forma giusta come risultato di forze fisiche cieche. Ovviamente le cose non stanno così. Gli edifici non si costruiscono da soli, ma vengono eretti secondo un progetto. Per di più, il progetto non è contenuto nei materiali di costruzione.  Si tratta più di un’idea spaziale, uno schema di informazioni. In ogni caso ha effetti reali, e determina il modo in cui vengono assemblati i materiali da costruzione e la forma che prende l’edificio.
A partire  dagli anni venti del ventesimo secolo, numerosi biologi hanno studiato lo sviluppo di piante e animali, si sono convinti che oltre ai geni devono esserci campi organizzativi all’interno dell’organismo in fase di sviluppo; essi sono detti “campi morfogenetici”.
Questi campi contengono progetti o programmi invisibili dei vari organi e dell’organismo interno. Nei modelli matematici dei campi morfogenetici gli obiettivi del processo morfogenetico vengono rappresentati come attrattori. Questi attrattori risiedono all’interno di “bacini di rotazione” in uno spazio multidimensionale, e attraggono l’organismo in via di sviluppo verso gli obiettivi o le mete dello sviluppo stesso.
Quindi: lo sviluppo di un topo viene plasmato dai campi dei topi, quello di un pino dai campi dei pini.
Questi campi aiutano a spiegare non soltanto il normale comportamento, ma anche la rigenerazione. Se tagliamo a pezzi un salice o un verme piatto, ciascun pezzo è in grado di rigenerarsi e formare un organismo interamente nuovo. Come altri tipi di campi, i campi morfogenetici sono intrinsecamente olistici: le parti isolate mantengono la capacità di riformare un intero organismo, poiché ciascuna di esse è ancora associata al campo dell’organismo intero.
Se tagliamo a pezzi un magnete, ciascun pezzo sarà un magnete completo, con un campo magnetico completo. I sistemi organizzati per campi NON sono invece i sistemi puramente meccanicistici, come i computer. I computer non si montano da soli; essi vengono assemblati sui luoghi di produzione in base a progetti esterni. Se tagliamo a pezzi un computer, tutto ciò che otteniamo è un computer rotto.
Nei sistemi organizzati in base a campi, tutte le sue parti componenti interagiscono attraverso il campo dell’intero sistema.
Per esempio, i pianeti ed il Sole interagiscono tutti attraverso il campo gravitazionale del sistema solare. Intorno ed all’interno dei magneti ci sono i campi magnetici, che interagiscono con altri campi magnetici vicini e anche con correnti elettriche. Allo stesso modo, i campi morfogenetici si trovano sia dentro che intorno alle piante e agli animali che organizzano, e ne interconnettono le parti.
La maggior parte dei biologi presume che i campi morfogenetici saranno un giorno spiegati nei termini della fisica e della chimica convenzionali. Per una serie di ragioni Sheldrake dissente: “credo si tratti di un nuovo tipo di campi di un genere non ancora riconosciuto dai fisici”.
Sheldrake riassume così le tre caratteristiche principali dei campi morfogenetici:
  1. 1.   funzionano imponendo schemi o strutture su processi altrimenti casuali o indeterminati nei sistemi sotto il loro controllo.
  2. 2.   contengono attrattori, i quali attraggono i sistemi sotto il loro influsso verso obiettivi futuri.
  3. 3.   si evolvono insieme agli stessi organismi viventi.
I campi morfici di tutte le specie hanno una storia e contengono memorie implicite date dal processo che chiamiamo risonanza morfica. La risonanza si verifica tra schemi di attività in sistemi auto-organizzanti sulla base della similarità, indipendentemente dalla distanza che li separa.
La risonanza morfica opera attraverso lo spazio/tempo,
dal passato al presente.
Tramite la risonanza morfica, ciascun membro di una specie riceve ed al contempo contribuisce alla memoria collettiva della specie.
Per esempio, man mano che l’embrione di un topo si sviluppa, esso viene plasmato dai campi morfogenetici dei topi contenenti una memoria spaziale di innumerevoli topi precedenti, e degli organi, tessuti e cellule in essi contenuti. I campi morfogenetici plasmano non soltanto cellule, organi, tessuti e organismi viventi, ma funzionano anche a livello molecolare. Per esempio, i campi morfogenetici delle molecole delle proteine plasmano il modo in cui le catene di aminoacidi si ripiegano nel modo giusto per dare alle proteine la loro forma caratteristica.
I geni specificano la sequenza in cui gli aminoacidi legano fra loro, ma non determinano come si ripiegano queste catene. Una data catena potrebbe potenzialmente ripiegarsi in un numero astronomico di forme diverse. Una tipica catena di 100 aminoacidi ha triliardi di possibili forme tridimensionali. Se venisse piegata “esplorandole” a caso fino a trovare la forma più energeticamente stabile, potrebbe essere necessario un tempo superiore all’intera età dell’universo per farlo (questo viene talvolta definito “paradosso di Levinthal” dal nome del biologo molecolare Cyrus Levinthal). In effetti il processo di ripiegamento (uno tra i tanti possibili da scegliere) può richiedere soltanto alcuni secondi, o al massimo qualche minuto con un dispendio energetico minimo. Nonostante 35 anni di intense ricerche, il ripiegamento delle proteine è ancora un problema rimasto irrisolto per la biologia molecolare. (…)
I campi morfogenetici fanno parte di una classe più ampia di campi, denominati campi morfici, la totalità dei quali contiene la memoria data tramite la risonanza morfica.
Altri tipi di campi morfici comprendono i “campi comportamentali”
che sottostanno al comportamento e agli istinti degli animali.
Man mano che un gattino cresce, i suoi istinti ed il suo comportamento vengono plasmati tramite risonanza morfica da innumerevoli gatti del passato. I suoi campi morfici contengono una memoria collettiva della specie.
Questi campi interagiscono con i sistemi nervosi e i cervelli imponendo schemi e ordini su processi altrimenti indeterminati o caotici al loro interno. Inoltre i campi morfici dei gruppi sociali, o campi sociali, coordinano il comportamento dei gruppi animali, come colonie di termiti, stormi di uccelli, branchi di pesci o di lupi. I campi morfici sottostanno inoltre alle nostre percezioni, ai pensieri e agli altri processi mentali.
I campi morfici delle attività mentali sono denominati campi mentali.
Attraverso i campi mentali, la mente estesa si allunga nell’ambiente tramite attenzione e intenzione, e si collega con altri membri dei gruppi sociali. Questi campi aiutano a spiegare la telepatia, la sensazione di essere osservati ed il sesto senso. Essi possono inoltre aiutare a comprendere le premonizioni e le precognizioni tramite intenzioni che si proiettano nel futuro.
L’ipotesi di Sheldrake è che i campi morfici aiutino ad imporre ordine e schemi in questo caos sensibile, e interagiscono col cervello attraverso loro attività di ordinazione. Essi contengono una memoria implicita, tramite la risonanza morfica e si proiettano ben oltre il cervello tramite attenzione ed intenzione.  (…)
E’ degno di nota l’eccezionale contributo che Sheldrake apporta alla teoria dei sistemi e con questo, siamo ora pronti per introdurre il concetto di “campo” nelle costellazioni familiari …
Grazie per la lettura, a presto!

SaraMaite

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