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martedì 15 aprile 2014

Manifestare non serve a nulla

 Per ribaltare il potere e l’ordine costituito non bisogna farsi massa, ma farsi elite.
 
Gay pride Istanbul 2013





La storia, secondo Vilfredo Pareto, non è altro che “un cimitero di aristocrazie”. Per capire le ragioni dell’ascesa e della decadenza della classe dominante e il ritmo di circolazione, il sociologo italiano affronta in primo luogo il tema centrale del Potere e afferma in Trasformazione della democrazia: “in ogni collettività umana stanno in contrasto due forze. Una, che potrebbesi dire centripeta, spinge alla concentrazione del potere centrale, l’altra, che potrebbesi dire centrifuga, spinge alla sua divisione”. La sostituzione delle elite avviene di fatto quando la forza dominante è in uno stato “centrifugo”: il potere crolla su sé stesso a causa delle contraddizioni interne. Tuttavia il consolidamento del processo di circolazione avviene soltanto se l’elite di sostituzione sia realmente compatta, autonoma, fresca di modelli culturali, capace di rinnovarsi. In caso contrario la rivolta rinvigorirebbe soltanto il potere centrale, e la circolazione fallirebbe.
Questo è il motivo per il quale i grandi movimenti di massa lasciano il tempo che trovano. Manifestazioni, marce, parate, scioperi, cortei, volantinaggi, occupazioni, azioni collettive, boicottaggi, sono fenomeni che non hanno una visione e una proiezione istituzionale. Nascono per morire. Per ribaltare il potere e l’ordine costituito non bisogna farsi massa, ma farsi elite. Quella che lo stesso Lenin in Che fare? chiamava “avanguardia cosciente, strutturata e gerarchica dei professionisti dell’azione rivoluzionaria”.
Le poche volte nella storia che il popolo si è fatto massa, organizzandosi autonomamente e sollevandosi autenticamente, è stato di fatto sottomesso nel giro di poco tempo. Alla fine del Diciottesimo secolo gli “chouans” (contadini insorti nel Nord Ovest della Francia per raggiungere volontariamente l’esercito reale per difendere il potere costituito) tentarono invano di combattere le guerre controrivoluzionarie di Vandea al fianco dell’esercito Cattolico e Reale. Le forze popolari parigine invece tra il 1870 e il 1871, dopo la sconfitta militare della Francia di Napoleone III contro la Prussia, insorsero contro il governo repubblicano di Thiers, elessero il Comitato di salute e pubblica e il Consiglio della Comune, ma dopo soli tre mesi, furono represse dalle truppe del governo di Versailles allora comandate dal generale Mac-Mahon.
Nell’era post-democratica perdura l’illusione della contestazione sulle note della disobbedienza civile teorizzata da Hery David Thoreau o dell’indignazione – indignatevi!- di Stephane Hessel. E poi il fatto che per manifestare sia necessario essere autorizzati dal sistema che si combatte è un controsenso. Non si chiede il permesso per cambiare la storia. Quante manifestazioni? Quanti cortei? Quanti volantinaggi? Quante parate? Quanti scioperi? Quanti cortei? Quanti volantinaggi? Quante occupazioni? Quante azioni collettive? Decine, centinaia, migliaia, ma l’elite è sempre lì. Rivoluzionaria quanto la massa che si rivolta, ma con metodi più efficaci, sottili, incisivi. Antonio Gramsci sosteneva che i proletari se volevano assumere il potere occorreva strappare alla borghesia la sua egemonia culturale. Fare egemonia culturale, fondare una controcultura riflessiva e ragionata che mini le fondamenta dell’ideologia dominante, farsi elite e giocare la partita con i mezzi e le regole dell’oligarchia.

1 commento:

  1. Articolo molto interessante, che tocca i nervi scoperti dell'animalismo. E non solo.
    Mi ricorda la parte finale de "L'insostenibile leggerezza dell'essere", di Milan Kundera.

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