A cura di Rishi
Giovanni Gatti
La tendenza editoriale
degli ultimi decenni è stata quella di stampare libri con caratteri sempre piú
grandi. Questo è stato richiesto in parte dai lettori stessi, sempre piú in
difficoltà con il carattere di stampa che si usava una volta, sensibilmente piú
piccolo di quello di oggi, e in parte dalle aziende editoriali, che con questo
sistema truffaldino riescono a mettere sul mercato volumi di centinaia di pagine
laddove il testo contenuto non ne riempirebbe che poche decine se stampato in
modo onesto.
Nel caso in cui il libro
composto in caratteri grandi dovesse essere destinato a un pubblico di persone
anziane, dalla vista già danneggiata dall’uso di lenti di vario tipo protrattosi
per tutta una vita, i danni fatti da questo tipo di stampa non sono poi cosí
gravi (è difficile peggiorare ulteriormente un difetto già pessimo…). Ma nel
caso in cui si tratti di libri per ragazzi, il carattere grande è una minaccia
molto seria per la visione di questi giovani lettori, dato che abituandosi a
esso loro rischiano di sviluppare molto presto la “eccentrica fissazione” e – di
conseguenza – i disturbi rifrattivi e la vista imperfetta, come scoperto dal
Dott. Bates oltre centoventi anni fa. Questo accade anche perché i ragazzi
hanno spesso la abitudine di lèggere da molto vicino, obbligando cosí l’occhio a
fare degli spostamenti ampii e innaturali, ancóra piú pericolosi per la salute
mentale oltre che per quella visiva.
Volendo acquisire dei dati
numerici, scientifici, che dimostrino quanto si sia appena affermato, sia
sufficiente prendere in mano uno dei volumi del giovanissimo scrittore
italo/californiano Christopher Paolini, autore della famosa Saga di Eragon: si
tratta di tomi di parecchie centinaia di pagine e dalle dimensioni
ragguardevoli; se si misura la grandezza dei caratteri usati dal tipografo si
scopre che essa è ben cinque volte piú grande del livello di visione standard
che corrisponderebbe al valore dei “dieci decimi” dell’esame della vista
praticato dagli oculisti in generale. Questo significa che tale carattere è di
ben dieci volte piú grande del requisito chiesto dal Dott. Bates per qualificare
la “vista perfetta”, un grado – cioè – di acutezza visiva pari al doppio del
normale.
Se i nostri ragazzi
prendono la abitudine a lèggere volumi stampati con caratteri cosí grandi e a
una distanza cosí breve dagli occhi, meno di trenta centimetri, è quasi certo
che svilupperanno la vista difettosa, e in particolare la miopía, che è il
difetto piú comune associato all’indebolimento della naturale “centrale
fissazione” dell’occhio, che – al contrario – viene esercitata e raffinata
leggendo sempre il carattere piú piccolo possibile.
Facciamo quindi un appello
ai genitori: se volete aiutare i vostri figli a tenere in buon ordine di
funzionamento la loro facoltà visiva, scegliete volumi stampati in carattere
molto piccolo; se questo non è possibile, fotocopiate le pagine riducendole di
almeno due terzi e invitate i ragazzi a lèggere quei caratteri fotocopiati, e
non l’originale. Se questo non è possibile, bisogna allora che i ragazzi
tengano il libro ad almeno un metro di distanza, o forse di piú, in modo tale da
allenarsi a vedere i caratteri nella dimensione adeguata alla formidabile
risoluzione dell’occhio umano, che è di gran lunga superiore a quanto siamo
abituati a vedere sulla carta stampata e sugli schermi dei videoterminali. Chi
farà cosí, non svilupperà mai la miopía e sarà anche in grado di prevenire, una
volta arrivati alla mezza età, l’insorgere della presbiopía, o “vista della
vecchiaia”, un disturbo che si manifesta proprio perché l’occhio per una vita ha
sempre evitato di esercitarsi con i caratteri molto piccoli.
Rishi Giovanni Gatti
Direttore -
www.SistemaBates.it
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