SCOPERTE
– Sempre più ricerche suggeriscono che i fattori ambientali siano in
grado di apportare modifiche all’espressione genica, le quali vengono
trasmesse dai genitori ai figli. L’epigenetica continua così a essere un
tema di grande interesse: le modifiche epigenetiche non agiscono
infatti sulla sequenza del DNA, ma cambiano il modo in cui questo è
impacchettato e i geni vengono espressi. Un nuovo studio, pubblicato
dagli scienziati della UC Santa Cruz sulla rivista Science,
ha mostrato come la memoria epigenetica possa essere trasmessa
attraverso le generazioni e di cellula in cellula durante lo sviluppo.
Gli scienziati, guidati da Susan Strome, si sono concentrati su una
modificazione epigenetica già studiata in passato, la metilazione di un
particolare aminoacido, lisina 27, nell’istone H3 (una proteina). Tale
metilazione è stata trovata in tutti gli animali multicellulari, dagli
esseri umani all’ascaride della specie Caenorhabditis elegans (indagato come organismo modello in quest’ultima ricerca), ed è nota in quanto spegne o reprime l’attività dei geni.
“Se la metilazione potesse essere trasmessa o meno attraverso la
divisione cellulare -e le varie generazioni- è stato al centro di un
enorme dibattito. E ora noi abbiamo mostrato che la risposta è sì”,
spiega Strome. Nel suo laboratorio sono stati creati dei vermi con una
mutazione genetica, la quale disattiva l’enzima responsabile del marchio
[epigenetico] della metilazione. Tali vermi sono poi stati fatti
riprodurre con vermi normali, per poter indagare se e come il marchio si
sarebbe ripresentato nella generazione successiva. Nel caso di ovuli
mutati fertilizzati da normali spermatozoi, il numero di cromosomi
metilati nell’embrione era sei, mentre altri sei non erano marcati,
erano “nudi”.
Mentre l’embrione si sviluppa, le cellule replicano i cromosomi e si
dividono; i ricercatori hanno scoperto che quando è un cromosoma marcato
a replicarsi, i due cromatidi fratelli sono entrambi marcati anch’essi.
In assenza dell’enzima (necessario per la metilazione dell’istone), il
marcatore epigenetico viene progressivamente “diluito” a ogni divisione
cellulare. Riesce infatti a rimanere presente sui cromosomi derivati da
quello iniziale, ma non ce n’è abbastanza per mantenere una presenza
costante nei cromatidi fratelli. Di divisione in divisione sarà dunque
sempre meno evidente.
Il team di Strome ha dunque continuato nell’esperimento fertilizzando
le cellule uovo normali con spermatozoi mutati; l’enzima responsabile
della metilazione (PRC2) è stato trovato nelle cellule uovo, ma non
negli spermatozoi, con la conseguenza che gli embrioni avevano anche in
questo caso sei cromosomi nudi e sei marcati. Ma stavolta avevano anche
l’enzima intatto. “Quando abbiamo osservato i cromosomi durante le
divisioni cellulari, quelli marcati rimanevano tali e perfettamente
visibili, in quanto l’enzima continuava a ripristinare la marcatura.
Quelli ‘nudi’ rimanevano invece sempre ‘nudi’, divisione dopo
divisione”, spiega Strome. “Questo mostra che le marcature ereditate
vengono trasmesse nel corso di svariate divisioni cellulari”.
La questione riguardante l’ereditabilità dei marchi epigenetici non è
tuttavia risolta, anzi. Come sottolineano gli scienziati, esistono
decine di potenziali marcatori epigenetici, e comprendere i meccanismi
molecolari che ne regolano la trasmissione è estremamente complesso.
“Per ora abbiamo un esempio specifico di memoria epigenetica che viene
trasmessa, e la possiamo osservare al microscopio. È un primo tassello
del puzzle”, commenta Strome.
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: Bruno Vellutini, Flickr
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