di
Lucia Venturi
In un recente articolo dell’Earth Policy Institute (EPI) -istituito nel 2001 da Lester Brown, che è stato fondatore ed ex presidente del Worldwatch Institute- J. Matthew Roney, ha evidenziato le potenzialità della risorsa geotermica e anche alcune criticità che ne limitano lo sviluppo.
Scrive Roney che “la crescita relativamente lenta della potenza geotermica non è dovuta ad una scarsità della risorsa: al contrario nelle sei miglia superiori della crosta terrestre è presente un quantitativo potenziale di energia 50mila volte superiore a quella contenuta nelle riserve di gas e petrolio di tutto il pianeta“.
La produzione di energia elettrica da fonte geotermica ha registrato su scala planetaria un incremento del 3% nel 2013, con 11.700 MW installati in 24 paesi. Sicuramente l’anno più significativo in termini di risultati dal 2007 (e dopo 7 anni di crescita modesta) che rimangono però pur sempre bassi rispetto agli incrementi ottenuti in altri settori delle rinnovabili come eolico e il fotovoltaico, nonostante le elevate potenzialità dell’energia geotermica.
Ma a differenza della relativa facilità di misurazione della velocità del vento e della radiazione solare –sottolinea Roney- le ricerche per valutare le risorse presenti nel sottosuolo, prima di costruire una centrale geotermica, sono difficili e molto costose.
I test e le perforazioni necessarie per valutare le caratteristiche della risorsa ai fini dell’utilizzo industriale possono rappresentare sino al 15% dei costi d’investimento, senza peraltro avere alcuna garanzia di trovare giacimenti idonei allo sfruttamento. Ed anche qualora il pozzo individuato risulti produttivo, per sfruttarlo servono ulteriori ingenti capitali, e competenze tecniche molto specializzate.
“Una volta costruita, tuttavia –scrive Roney- una centrale geotermica è in grado di generare elettricità 24 ore al giorno con bassi costi di gestione e manutenzione, soprattutto perché il costo del “carburante” è pressoché gratuito. Ciò rende gli impianti geotermici, nell’arco del loro ciclo di vita, competitivi con tutte le altre fonti di energia, compresi i combustibili fossili e il nucleare.
La situazione attuale della capacità geotermica installata pone Stati Uniti, Filippine e Indonesia al vertice della classifica mondiale con oltre la metà della potenza installata.
La California ospita quasi l’80% (con 3.440 MW) della capacità geotermica degli USA; un altro 16% si trova in Nevada. Purtuttavia, nonostante gli USA abbiano la maggior capacità geotermica installata del pianeta, l’influenza di questa fonte rinnovabile sul bilancio energetico federale è quasi irrilevante, perché corrispondente a circa l’1% del totale. Diversamente da Paesi come l’Islanda che, seppur con necessità energetiche inferiori dovute alla scarsità di popolazione (320.000 abitanti contro i 313 milioni degli USA), riescono ad elevare la quota dell’elettricità da geotermia sino ad un notevole 29%. Seguono El Salvador, dove un quarto di energia elettrica proviene da impianti geotermici; il Kenya con il 19% , le Filippine e il Costa Rica, entrambi al 15% e la Nuova Zelanda al 14% .
“Tra i paesi che hanno obiettivi più ambiziosi c’è l’Indonesia -scrive Roney- dove si sta cercando di sviluppare 10.000 MW di potenza geotermica entro il 2025 e, dopo aver realizzato soli 150 MW negli ultimi quattro anni, l’obiettivo appare assai difficile da raggiungere; ma una nuova legge approvata dal Governo alla fine di agosto di quest’anno dovrebbe aiutare le imprese che si stanno muovendo in questa direzione“. La legge prevede un aumento del prezzo di acquisto per kilowattora garantito ai produttori geotermici e cessa la classificazione dell’ energia geotermica come attività mineraria. (Gran parte della risorsa geotermica non sfruttata in Indonesia si trova nelle zone boschive dove l’attività mineraria è illegale.)
Ma anche prima che la nuova legge entrasse in vigore, la società geotermica Ormat aveva iniziato la costruzione della più grande centrale geotermica del mondo: un progetto della potenza di 330 MW nel nord di Sumatra, iniziato a giugno 2014 e che dovrebbe produrre il suo primo KWh di elettricità nel 2018.
“L’Indonesia –scrive il ricercatore dell’EPI- è solo uno dei circa 40 paesi che potrebbero ottenere tutta la loro energia elettrica dalla risorsa geotermica presente nel sottosuolo, una lista che include l’Ecuador, l’Etiopia, l’Islanda, il Kenya, Papua Nuova Guinea, il Perù, le Filippine e la Tanzania. Ma sono quasi tutti paesi, dove gli elevati costi iniziali per lo sviluppo geotermico sono spesso proibitivi”.
Per contribuire alla soluzione di questo problema -ricchezza risorse geotermiche e scarsità di risorse economiche– e per poterne attuare l’utilizzo industriale, la Banca Mondiale ha lanciato a marzo 2013 un piano di sviluppo geotermico mondiale (il Global Geothermal Development Plan) che già dal mese di dicembre ha permesso di mettere a disposizione i primi 115 milioni di dollari, dei 500 previsti, per avviare progetti in paesi ad economia emergente. L’obiettivo è quello di abbassare complessivamente i costi per i progetti di sviluppo geotermici, con la possibilità di ridurre l’attuale scarsità di energia elettrica in questi Paesi e allo stesso tempo diminuire l’inquinamento atmosferico, le emissioni di carbonio, e le costose importazioni di combustibili fossili.
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