Ho iniziato a cambiare la mia alimentazione circa nove anni fa, quando sono diventata vegetariana prima e poi, gradatamente, vegana.
L’ho fatto per tanti motivi, etici innanzitutto, avendo letto e
compreso dell’impatto che lo stile di alimentazione vigente ha sul
pianeta, le persone e gli animal; poi salutistici e infine psicologici,
per il senso di controllo sulla mia vita che ricavavo dall’attenermi
scrupolosamente a una regola.
Questo percorso mi ha dato infiniti stimoli per approfondire e rivedere il mio rapporto col sacro, con la meditazione e mi ha spinta a praticare diverse tecniche di disintossicazione, una su tutte il digiuno, che ancora utilizzo anche se in maniera meno estesa di un tempo.
Insomma, ho amato molto la mia scelta veg*, mi ha insegnato tanto e riempita di soddisfazioni.
Ciononostante,
non mi sono mai sentita veramente parte di un gruppo, perchè non mi
riconoscevo nello spirito battagliero che normalmente viene associato a
una persona vegana. Quel mix di superiorità morale, indignazione e
condanna che senza parole, o con molte parole, dice: tu sei sbagliato.
Anch’io ho avuto i miei momenti, specie
all’inizio, in cui mi mettevo nella condizione di essere uno contro
tutti (certe cene tra amici, per esempio, allietate dal godibile
siparietto ‘beh ma allora anche le carote soffrono’), ma ho rapidamente
realizzato che un simile accanimento non faceva che sortire l’effetto
opposto (un po’ come andare a parlare di tumori al fumatore incallito:
se ne accende subito un’altra). Quindi mi sono rilassata e ho lasciato
che l’esempio facesse da sé, dando piena disponibilità a chi cercava
informazioni e nessun appiglio a chi cercava il conflitto, e ottenendo
in questo modo riscontri maggiori. Ho visto attorno a me diverse persone
cambiare i loro punti di vista, e spesso ho avuto il piacere di
sentirmi dire che ero la sola veg* che non prendesse di mira i
carnivori, che si sentivano così a loro agio da venirmi a chiedere il
perché di questa scelta e farsi delle domande.
Da un punto di vista salutistico, come
tanti ho ricercato quella che potesse essere l’alimentazione giusta,
definitiva, parteggiando per l’una o per l’altra corrente. Inizialmente
ho scoperto quelle nozioni di base che più o meno tutti i vegetariani, o
forse tutti in generale, ormai sanno: la carne fa male, è cancerogena
ecc. Toglierla è stata molto più semplice di quanto immaginassi.
Subito dopo ho sentito le ragioni del veganesimo,
la tematica della dannosità di una dieta iperproteica e della parte che
i latticini hanno in tutto questo. Bye bye latticini. Per quanto
riguarda togliere le uova, mi è bastato sentire come funziona la catena
produttiva, senza contare che le si usa quasi solo come ingrediente e la
gran parte delle volte si trovano alternative molto efficienti (amido,
banane, agar agar, fecola, maizena…).
In seguito mi sono imbattuta negli ehretisti,
che utilizzano il criterio della formazione di muco come fonte di tutti
i mali e per evitarlo eliminano tutti i cibi che lo producono, compresi
i cereali. Sempre più difficile. Il sostrato teorico mi appariva
convincente, e ancora più convincente è stata la prova che ho fatto: per
due anni mi sono attenuta alla dieta ‘di transizione’ verso
l’ehretismo, e sono stata ancora meglio. Forse era quella la dieta
perfetta.
Ancora un piccolo passo ed ecco i crudisti,
che a quanto detto aggiungono che quando è nato l’uomo certo non
cucinava il proprio cibo, cosa che fa parte della sua evoluzione, mentre
il suo apparato digerente è rimasto quello delle origini, motivo per
cui non cuociono nulla e si assicurano un apporto vitaminico maggiore.
Come dargli torto? Ne ho conosciuti alcuni e stavano benissimo, e
sicuramente se adottata come dieta curativa dava ottimi risultati;
chissà che meraviglie attenercisi per una vita intera.
All’interno dei crudisti ci sono però i fruttariani,
puristi che mangiano solo i frutti, sostenendo che l’uomo originario, e
quindi il suo apparato digerente, non avrebbe scelto verdure sgradevoli
al palato da crude (crucifere, tuberi…) ma avrebbe decisamente
preferito la frutta dolce e matura, che non a caso piace ai bambini
(quelli non corrotti dal cibo spazzatura), ed è alla base
dell’attrazione dell’animale uomo verso il sapore dolce. Fino a qui,
ancora mi potevo trovare d’accordo, anche se in questo caso non ero
pienamente convinta della fattibilità pratica di questa dieta calata in
un contesto sociale; uno qualsiasi. Era questa la dieta ideale? Forse.
A dirla proprio tutta, all’interno dei
fruttariani ci sono anche i monofrutto: i melariani, ad esempio,
rilevano che la composizione della mela sia così completa ed eccezionale
che, in un organismo perfettamente disintossicato, potrebbe
rappresentare l’unico sostentamento. Perchè no? Le mele mi sono sempre
piaciute. Beh, qui la ricerca della dieta perfetta aveva raggiunto lo
stadio di ‘aspetta un attimo…’.
Anche perchè, volendo, esiste l’alimentazione pranica:
vivere di sola luce. C’è una signora australiana, Jasmuheen, che
insegna a ricavare il nutrimento dall’energia universale, e la intende,
tra l’altro, come una possibile soluzione alla fame nel mondo. Ogni
volta che vengo a contatto con l’argomento provo una sorta di
attrazione, rispetto, senso di comunione con queste persone, e capisco
che senz’altro potrei farlo anch’io, se lo scegliessi. Di certo, la
pratica del digiuno mi ha mostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che
l’apporto di cibo come fonte di energia è a dir poco sopravvalutato.
Ecco, è proprio questo il punto. Non
solo, per chi voglia vederlo, è oltremodo chiaro che non esiste alcun
cibo indispensabile (visto che si vedono persone in perfetta salute che
si alimentano nelle maniere più diverse), ma è anche chiaro che la
salute è costituita da molti altri fattori capaci di generare malattia
alla faccia dell’alimentazione più curata, o viceversa grande vitalità
anche in chi si è sempre alimentato come se non ci fosse un domani.
Perchè? Non siamo forse anche noi come
gli altri animali, che si possono classificare sulla base delle loro
caratteristiche fisiche (dentatura, artigli, lunghezza intestino,
acidità dei succhi gastrici…), e poter così affermare con sicurezza chi è
fatto per mangiare carne, chi erba, chi semi? Per anni è stato uno dei
miei cavalli di battaglia: il carnivoro che ha l’intestino corto perchè
la carne è tossica e va espulsa subito, l’erbivoro che ce l’ha lungo e
noi che ce l’abbiamo lunghetto perchè è la frutta e i vegetali ciò che
dovremmo mangiare. E allora gli eschimesi?
Va beh, è un rebus senza soluzione. Come
sempre, la soluzione, almeno per me, si trovava al di fuori di questo
livello di pensiero: non siamo animali come tutti gli altri.
A un certo punto sono approdata alla
consapevolezza concreta della nostra natura di esseri infiniti, che
hanno molti corpi come una grande matrioska al centro dei quali c’è il
più piccolo: il nostro meraviglioso, straordinario, magico e ambitissimo
corpo fisico.
Ho acquisito molti strumenti, gran parte da Access Consciousness (it.accessconsciousness.com),
che mi hanno messo in comunicazione diretta col mio corpo, i suoi
gusti, desideri, talenti e preferenze. Per la prima volta mi sono aperta
alla domanda se tutta questa faccenda del veganesimo fosse leggera o
pesante per me, e la risposta, forte e chiara, è stata: PESANTE.
Per me, per tutte le altre persone nella stanza mentre me lo chiedevo,
forse pure per chi sta leggendo qui. Un intrico di falsa superiorità
morale e tanto, tanto giudizio.
Ero diventata vegan a partire da nessuna
domanda ma tante conclusioni e decisioni: avevo deciso di volta in
volta quale cibo fosse migliore per me, l’avevo imposto al mio corpo
senza mai ascoltarlo, ero andata a caccia di tutte le prove a favore
della mia tesi, mi ero assunta personalmente il compito di guarire il
grande dolore che l’alimentazione comune procura al pianeta. In quel
momento stavo lasciando andare tutto questo. Com’ero diventata così
fortunata?
Mi sono resa conto, ad esempio, che in
tanti anni di astinenza il mio corpo ancora aveva l’acquolina in bocca a
sentire l’odore della carne. Stava forse cercando di dirmi qualcosa?
Una cosa che ora so è che esistono corpi
che si mantengono in salute e prosperano su un’alimentazione
completamente vegetale, per i quali il veganesimo può essere una scelta
di espansione e consapevolezza. La gran parte, in compenso, richiede
quantità variabili di carne. Il bello è che esserne consapevoli non
implica necessariamente che si farà questa scelta: si può comunque
scegliere quello che si vuole!
Ho cominciato a farmi domande, eccone alcune:
- Se mi vedo come risolutrice di problemi, che cosa sto creando nella mia vita?
- Il fatto di percepire il dolore altrui, e agire partendo da questo dolore, creerà altro dolore?
- Se il corpo richiede un dato cibo per stare bene, il non fornirglielo è un abuso?
- Come sarebbe scegliere di avere lo spazio, attenzione, nutrimento, denaro, cura amorevole di cui, per nascita, abbiamo diritto? Che decisione c’è alla base che ci impedisce di avere questo?
- Chi potrà darci tutto ciò, se non siamo noi disponibili in prima persona a farlo?
- Come possiamo cambiare e contribuire a cambiare il mondo, se non siamo disponibili a dare a noi stessi ciò di cui abbiamo bisogno?
- Come sarebbe scegliere di mangiare ciò che il corpo richiede, e mangiarne solo finché ci dà godimento? Senza punti di vista o limitazioni..?
- Mangeremmo meno? Mangeremmo meglio? E se fosse il corpo a scegliere cosa mangiare? In fondo, è lui quello che mangia!
(Naturalmente sarebbe orribile applicare ciò anche all’attività fisica, agli abiti che indossiamo o al sesso, non fatelo mai!)
Per ogni presa di posizione estrema c’è
una compensazione di segno opposto. Tanta luce, tanta ombra. Squadre,
fazioni. Vegani contro carnivori. Ehretisti contro macrobiotici,
crudisti contro vegetariani. Tutto questo conflitto e giudizio può
salvare davvero il nostro amato pianeta e gli animali sfruttati? O sono
per caso ulteriori separazioni? E se la Terra ci richiedesse gioia,
espansione e consapevolezza? Che scelte faremmo?
Restare nella domanda senza punti di
vista significa diventare la roccia attorno alla quale si muovono le
correnti, senza creare attrito, senza generare nuove compensazioni,
nella piena libertà di creare la propria vita.
Concludo con il mio menù di oggi:
stamattina mi sono svegliata presto e ho bevuto l’acqua dal comodino,
avevo un po’ fame ma sono riuscita a fare colazione solo sul tardi. Come
mio solito (i due terzi delle volte) ho mangiato frutta: anguria baby
(praticamente mezza) e più tardi una manciata di ciliegie.
A pranzo ho scaldato delle tagliatelle
di grano saraceno con del sugo in barattolo e accanto zucchine, patate e
cipolle in padella, insaporite da qualche scaglia di feta. A finire
mousse al cioccolato composta di datteri, cacao e latte di cocco
frullati, più un paio di fragoline di bosco dal mio giardino
(squisita!). Tè misto verde e nero, il tutto consumato sotto
l’ombrellone.
Nel pomeriggio ho piluccato dal
barattolo della frutta secca e uvetta, e per merenda ho mangiato uno
yogurt alla fragola. A cena avevo una gran fame, quindi insalatona di
perini sbucciati, romana e belga, avocado, germogli misti, carote e
vinaigrette di tahin, olio, limone e paprika, poi gnocchi al pesto
(avanzati per metà) e budino al cacao fatto da me, che avevo nostalgia
della mousse di pranzo. Tarda serata, scrivendo qui, latte di mandorla
molto freddo.
Non so che ne diranno i dietisti, i
vegetariani, i vegani, i macrobotici, i crudisti, la mia mamma (che
saluto) e gli esperti di ogni genere: per me è puro godimento, e ancora
non ho smesso di raccogliere consapevolezza da questo immenso senso di
libertà che provo, da quando ho smesso di imporre al mio corpo punti di
vista altrui spacciati per miei.
(Forse qualcuno avrà notato l’assenza
della carne: ho scoperto che mi va di mangiarne ben poca, solo ogni
tanto, molto, molto meno di quanta ne mangiavo dieci anni fa. E’
dall’aver rimosso il tabù che mi arriva la leggerezza. E, per chi se lo
chiedesse, non sono mai stata così in forma.)
This article by Sibilla Iacopini also appears in English on the blog Don’t Stop Eating. Click here to read it and share!
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