Per ribaltare il potere e l’ordine costituito non bisogna farsi massa, ma farsi elite.
La storia, secondo
Vilfredo Pareto, non è altro che “un cimitero di aristocrazie”. Per
capire le ragioni dell’ascesa e della decadenza della classe dominante e
il ritmo di circolazione, il sociologo italiano affronta in primo luogo
il tema centrale del Potere e afferma in Trasformazione della democrazia:
“in ogni collettività umana stanno in contrasto due forze. Una, che
potrebbesi dire centripeta, spinge alla concentrazione del potere
centrale, l’altra, che potrebbesi dire centrifuga, spinge alla sua
divisione”. La sostituzione delle elite avviene di fatto quando la forza
dominante è in uno stato “centrifugo”: il potere crolla su sé stesso a
causa delle contraddizioni interne. Tuttavia il consolidamento del
processo di circolazione avviene soltanto se l’elite di sostituzione sia
realmente compatta, autonoma, fresca di modelli culturali, capace di
rinnovarsi. In caso contrario la rivolta rinvigorirebbe soltanto il
potere centrale, e la circolazione fallirebbe.
Questo è il motivo per il quale i grandi
movimenti di massa lasciano il tempo che trovano. Manifestazioni,
marce, parate, scioperi, cortei, volantinaggi, occupazioni, azioni
collettive, boicottaggi, sono fenomeni che non hanno una visione e una
proiezione istituzionale. Nascono per morire. Per ribaltare il potere e
l’ordine costituito non bisogna farsi massa, ma farsi elite. Quella che
lo stesso Lenin in Che fare? chiamava “avanguardia cosciente, strutturata e gerarchica dei professionisti dell’azione rivoluzionaria”.
Le poche volte nella storia che il
popolo si è fatto massa, organizzandosi autonomamente e sollevandosi
autenticamente, è stato di fatto sottomesso nel giro di poco tempo. Alla
fine del Diciottesimo secolo gli “chouans” (contadini insorti nel Nord
Ovest della Francia per raggiungere volontariamente l’esercito reale per
difendere il potere costituito) tentarono invano di combattere le
guerre controrivoluzionarie di Vandea al fianco dell’esercito Cattolico e
Reale. Le forze popolari parigine invece tra il 1870 e il 1871, dopo la
sconfitta militare della Francia di Napoleone III contro la Prussia,
insorsero contro il governo repubblicano di Thiers, elessero il Comitato
di salute e pubblica e il Consiglio della Comune, ma dopo soli tre
mesi, furono represse dalle truppe del governo di Versailles allora
comandate dal generale Mac-Mahon.
Nell’era post-democratica perdura
l’illusione della contestazione sulle note della disobbedienza civile
teorizzata da Hery David Thoreau o dell’indignazione – indignatevi!- di
Stephane Hessel. E poi il fatto che per manifestare sia necessario
essere autorizzati dal sistema che si combatte è un controsenso. Non si
chiede il permesso per cambiare la storia. Quante manifestazioni? Quanti
cortei? Quanti volantinaggi? Quante parate? Quanti scioperi? Quanti
cortei? Quanti volantinaggi? Quante occupazioni? Quante azioni
collettive? Decine, centinaia, migliaia, ma l’elite è sempre lì.
Rivoluzionaria quanto la massa che si rivolta, ma con metodi più
efficaci, sottili, incisivi. Antonio Gramsci sosteneva che i proletari
se volevano assumere il potere occorreva strappare alla borghesia la sua
egemonia culturale. Fare egemonia culturale, fondare una controcultura
riflessiva e ragionata che mini le fondamenta dell’ideologia dominante,
farsi elite e giocare la partita con i mezzi e le regole
dell’oligarchia.
Articolo molto interessante, che tocca i nervi scoperti dell'animalismo. E non solo.
RispondiEliminaMi ricorda la parte finale de "L'insostenibile leggerezza dell'essere", di Milan Kundera.